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Omessa dichiarazione se i beni acquistati non si trovano in magazzino

/ REDAZIONE

Sabato, 24 ottobre 2020

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La Cassazione, nella sentenza n. 29338/2020, ha ribadito che, per la configurabilità del delitto di omessa dichiarazione ai fini di evasione delle imposte (art. 5 del DLgs. 74/2000), non può farsi ricorso alle presunzioni tributarie, come quella secondo cui tutti gli accrediti registrati sul conto corrente si considerano ricavi dell’azienda, in quanto spetta al giudice penale la determinazione dell’ammontare dell’imposta evasa procedendo d’ufficio ai necessari accertamenti, eventualmente mediante il ricorso a presunzioni di fatto.

Vale, in verità, il principio in base al quale spetta esclusivamente al giudice penale il compito di determinare l’ammontare dell’imposta evasa, da intendersi come l’intera imposta dovuta e non versata – peraltro anche suscettibile dapprima di sequestro e, poi, di confisca – in base ad una verifica che può venire a sovrapporsi, ed anche a entrare in contraddizione, con quella eventualmente effettuata dal giudice tributario, non essendo configurabile alcuna pregiudiziale tributaria.

In particolare, in sede penale occorre sempre privilegiare il dato fattuale reale rispetto ai criteri di natura meramente formale che caratterizzano l’ordinamento fiscale; ma si può certamente fare ricorso alle risultanze delle indagini svolte nella fase dell’accertamento tributario, a condizione che il giudice proceda ad autonoma verifica di tali dati indiziari unitamente ad elementi di riscontro, eventualmente acquisiti anche altrove, che diano certezza dell’esistenza della condotta criminosa.

A fronte di ciò, è reputato possibile desumere dal fatto che una società risulti aver acquistato merci per un significativo importo, regolarmente fatturato, senza che queste siano poi rinvenute nei magazzini, che le stesse siano state vendute in modo fiscalmente irregolare, con conseguente evasione dell’IVA.
L’imposta dovuta, poi, è da considerare logicamente calcolata applicando sull’imponibile risultante dalle fatture di acquisto la percentuale di ricarico del 10%, che la stessa società aveva negli anni precedenti operato in sede di rivendita delle merci, risultandone il certo, e ampio, superamento della soglia di punibilità normativamente prevista.

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