ACCEDI
Martedì, 18 febbraio 2025 - Aggiornato alle 6.00

LETTERE

Improprio utilizzare l’«errore bloccante» come strumento di controllo

Martedì, 6 luglio 2021

x
STAMPA

Gentile Redazione,
colgo la segnalazione del collega Pietrobon di ieri a proposito dell’ostruzionismo dell’Agenzia delle Entrate in relazione agli “errori bloccanti” e ai 10 giorni di tempo necessari per poter utilizzare i crediti tributari emergenti dalle dichiarazioni dei redditi per poterli utilizzare in compensazione (si veda “Sull’uso dei crediti fiscali l’Agenzia ha un comportamento ostruzionistico”).

Il problema a mio avviso va oltre quanto segnalato giustamente dal collega, e riguarda l’utilizzo improprio dello strumento dell’“errore bloccante”, che dovrebbe riguardare soltanto i casi in cui il contenuto informativo della dichiarazione è “illeggibile”, ma viene impiegato come strumento di controllo.

Confondendo questi piani si hanno effetti piuttosto illogici e paradossali: si contesta l’omissione della presentazione di una dichiarazione, della cui effettiva presentazione il contribuente possiede una ricevuta con l’indicazione della data di presentazione, del suo codice fiscale, del tipo di dichiarazione e financo del risultato sintetico dichiarato (il credito/debito risultante dalla dichiarazione).

Traslando ciò nel mondo della carta, è come se si spedisse una raccomandata A/R, se ne riceve l’avviso di ricevimento controfirmato dal ricevente, ma con la postilla: “siccome la sua raccomandata non rispetta i nostri standard, faccia conto di non averla mai spedita”.

Il fatto è che è la legge che imporrebbe all’Agenzia di distinguere i due piani.
I commi 10 e 12 dell’art. 9 del DM 31 luglio 1998 precisano quali sono i casi in cui le ricevute delle dichiarazioni non vengono prodotte.
Essi sono sostanzialmente riconducibili ai vizi propri dei file (codici di autenticazione non riconosciuti, file doppio o non elaborabile perché non conforme alle specifiche tecniche, codici fiscali omessi) o alla incongruità di talune informazioni strutturali (omessa indicazione del codice fiscale, assenza di un record contenente dati, tipi di record non previsti per il modello presentato, valori incongruenti con la numericità del campo prevista dalle specifiche tecniche et similia).

Paragonandoci al mondo della carta, la dichiarazione può considerarsi non pervenuta se nella busta c’è un foglio di giornale, o la dichiarazione di qualcun altro, o ci sono lettere al posto di numeri o se non è stata redatta sul “modello conforme”).

L’indicazione è chiara: lo scarto può e deve riguardare soltanto l’aspetto della effettività della comunicazione, non l’“accettabilità” del contenuto informativo – che attiene all’attività di controllo e di accertamento.
Purtroppo l’art. 9 comma 13 del DM in questione precisa che i motivi di scarto di cui ai commi precedenti possono essere modificati o integrati annualmente dall’Agenzia delle Entrate.

E qui veniamo al problema: invece di limitarsi a gestire il mero aspetto comunicativo ed aggiornare – se mai occorresse – i casi di scarto a nuove ipotesi di errore non prima previsti, l’Agenzia ha gradualmente esteso l’impiego di questo strumento entrando nel merito del dichiarato, ritenendo di poter scartare – ovvero di considerare omesse – dichiarazioni dei redditi certamente ricevute, perfettamente intellegibili ma “incongrue” secondo le sue aspettative.

Dunque la vera domanda: l’allargamento dei casi di errori bloccanti a situazione che non riguardano la leggibilità dei file ma il contenuto informativo è legittimo, o costituisce un caso di “eccesso di delega”?

A mio giudizio si tratta di eccesso di delega. È l’evidenza a dimostrarlo. Basta leggere le ricevute di scarto determinate da questi casi per capire che non si tratta di dichiarazione omessa, ma di dichiarazione non piaciuta.


Giampiero Guarnerio
Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Milano

TORNA SU