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OPINIONI

Impatto del superbonus positivo sul Pil reale

I dati di Dipartimento Finanze, Dipartimento Tesoro e Ragioneria generale sono relativi al triennio 2021-2023

/ Enrico ZANETTI

Lunedì, 5 giugno 2023

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Se a rinfocolare le polemiche sul superbonus ci hanno pensato le dichiarazioni di venerdì scorso di ANCE (secondo la quale i crediti d’imposta “incagliati” nei cassetti fiscali delle imprese e delle famiglie, per mancanza di acquirenti, sarebbero saliti dai 19 miliardi di euro stimati dall’Agenzia delle Entrate, nei giorni caldi del varo del decreto “Cessioni”, a circa 30 miliardi di euro), è però l’audizione congiunta in Commissione Bilancio della Camera della scorsa settimana di Dipartimento Finanze, Dipartimento Tesoro e Ragioneria Generale dello Stato a non essere stata sufficientemente letta, meditata e commentata da tutti gli attori interessati, come invece è stato fatto nello studio della Fondazione nazionale dei commercialisti in uscita oggi. 

Sono infatti le stesse articolazioni tecniche del MEF a certificare in quel documento che il costo “lordo” aggiornato per lo Stato (cioè senza tenere conto delle entrate fiscali e contributive derivanti dagli effetti indotti su crescita economica e sui livelli occupazionali) dell’ottimo superbonus e del pessimo bonus facciate ammonta a 86,12 miliardi di euro (spalmati finanziariamente tra il 2021 e il 2035) e che il loro positivo impatto macroeconomico sul Pil reale nel triennio 2021-2023 sia complessivamente pari al 3,9% (mentre quello altrettanto positivo sui livelli occupazionali sia pari allo 0,5% nel 2021, all’1,1% nel 2022 e allo 0,9% nel 2023).

Se si considera su questo aumento del Pil reale quel 40% di entrate che rappresentano, per difetto, le entrate fiscali e contributive medie che il bilancio dello Stato incamera sul Pil, il costo “netto” per il bilancio dello Stato per superbonus e bonus facciate viene a essere pari a 51,67 miliardi di euro.

A fronte di tale costo “netto” che, seppure con distribuzioni temporali diverse nell’arco temporale interessato, costituisce il deficit che si traduce in maggior debito pubblico, l’incremento del Pil reale nel triennio 2021-2023 nella misura del 3,9%, stante un Pil 2020 crollato a circa 1.700 miliardi di euro, vale in termini assoluti circa 66,3 miliardi di euro.

Da questi numeri emerge con chiarezza come è indubbio che l’operazione superbonus e bonus facciate con opzioni di sconto e cessione abbia un costo per lo Stato e costituisca un esempio di crescita economica a debito, ma dovrebbe una volta per tutte far capire che è un classico caso di crescita a debito virtuosa, posto che l’incremento indotto nel Pil (66,3 miliardi di euro) è maggiore del costo “netto” sostenuto dallo Stato per generarlo “a debito” (51,67 miliardi di euro), con conseguente miglioramento del rapporto debito/Pil.
Una performance che, se si analizzassero separatamente i soli costi-effetti del superbonus, lasciando perdere l’imbarazzante bonus facciate, risulterebbe ancora migliore.

E migliore ancora risulterebbe se, nell’ambito del superbonus, si mirassero meglio gli effetti di miglioramento di classe energetica degli edifici e si eliminassero gli interventi di miglioramento sismico che producono meno di due classi di riduzione del rischio sismico degli edifici, perché concentrarsi sugli interventi a maggiore impatto e valore aggiunto significa rendere più efficiente l’incentivo non solo sul piano microeconomico, ma anche su quello macroeconomico.

Con tutto il rispetto per gli 11 miliardi di euro che servono per mettere a regime la riduzione del cuneo fiscale, non c’è francamente partita: la spesa per il superbonus (ristretto e migliorato) è spesa per investimenti con cui si fa crescita a debito sostenibile (nel senso che il Pil cresce più del debito), la spesa per la riduzione del cuneo fiscale, pur sacrosanta, è spesa corrente che fa debito senza crescita o quasi.

Da questo punto di vista, non deve stupire che in Europa possano essere visti con maggiore clemenza interventi di spesa là dove gli effetti non sono tali da mantenere un’Italia sorprendentemente (ma finalmente) in testa alle classifiche di crescita del Pil.

Qualche serena valutazione di politica economica, ora che ci sono numeri messi nero su bianco dalle strutture tecniche del MEF e non da autorevoli, ma pur sempre privati, centri studi, sarebbe opportuno farla, mettendo da parte i giusti pregiudizi determinati dalla pessima gestione di questi strumenti da parte dei precedenti governi, in termini di presidi anti-truffe (tema ormai risolto) e di esagerata ampiezza del perimetro soggettivo e oggettivo delle misure e delle percentuali di incentivazione anche nella fase ormai post pandemica.

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