Assemblee col solo rappresentante designato da ripensare
Gentile Redazione,
è ormai giunto alle battute finali l’iter di approvazione del Ddl. S.674 detto “Capitali” perché volto a favorire gli investimenti semplificando alcune norme.
Questo testo, diventato A.C. 1515 nel passaggio alla Camera, presenta alcuni aspetti interessanti e condivisibili, ma ha scatenato discussioni a non finire su tre aspetti:
- una nuova regolamentazione del voto maggiorato per i possessi continuativi (un chiaro tentativo di scopiazzare alcune più favorevoli legislazioni estere e tentare così di fermare l’emorragia di sedi legali. Peccato che, ormai, i gruppi più interessati si siano già trasferiti e che una “marcia indietro” appaia abbastanza improbabile);
- la presentazione della lista per il rinnovo dei consigli di amministrazione da parte del CdA uscente (ricordate l’epoca delle Banche Popolari dove “una testa, un voto” per cui, in concreto, erano i consiglieri in carica il vero centro di potere che gestiva gli avvicendamenti?);
- la possibilità di inserire nello statuto delle società quotate una norma che, di fatto, vanifica il concetto stesso di assemblea riducendola a un simulacro, ovvero la presenza di un solo rappresentante designato (dalla stessa società!) invece dei legittimi titolari delle azioni o dei loro delegati.
Vorrei soffermarmi su quest’ultima questione.
Durante la pandemia le ragioni sanitarie che suggerivano di evitare gli assembramenti assembleari erano comprensibili e quindi la norma che consentì di partecipare al solo rappresentante designato poteva essere accettata, anche se era una norma che non teneva conto delle numerose possibilità tecniche di tenere riunioni, anche numerose, con sistemi informatici e quindi a debita distanza.
Già lo scorso anno, a pandemia fortunatamente in via di esaurimento, le assemblee con il solo rappresentate designato erano state confermate e ora, in attesa della approvazione di questo Ddl. “Capitali”, una nuova norma surrettiziamente inserita nel Ddl. di conversione del decreto “Milleproroghe” attualmente in discussione alla Camera proroga questa prassi sino al prossimo 30 aprile (si veda “Anche i bilanci al 31 dicembre 2023 potranno approvarsi a distanza” di oggi, ndr.).
Le ragioni sottese a questa norma sono, a detta degli estensori, la prevalenza nelle compagini sociali di fondi esteri che decidono con ampio anticipo come votare e lo fanno sulla base delle loro periodiche interlocuzioni con il management aziendale. Nessuno ha pensato che questa “prevalenza” significa scartare tutti gli altri che di interloquire con il management non hanno la possibilità!
Vero che questi “altri” possono formulare domande prima dell’assemblea e ricevere risposte in tempo utile per esprimere il proprio voto, ma spesso e volentieri le risposte sono saccenti o elusive e non c’è possibilità di replica.
Inoltre: guardare in faccia gli amministratori, valutare il tono della loro voce e i loro atteggiamenti, sono aspetti psicologici importanti che senza la presenza fisica si vengono a perdere.
Non dimentichiamo poi che la stessa Consob, nella audizione del suo presidente Savona, aveva criticato questa norma perché contraria alle regole di mercato.
Non stupisce, invece, che Assonime giudichi positivamente le assemblee a porte chiuse in quanto questa organizzazione tutela gli interessi delle società e non quelli degli azionisti, men che meno se di minoranza.
Ricordo, infine, che alla Camera il testo del disegno di legge “Capitali” non ha avuto un sostegno plebiscitario: hanno votato a favore il 59% dei presenti corrispondenti al 34% del plenum dell’aula.
Sarà possibile un ripensamento in “zona Cesarini”?
Carlo Maria Braghero
Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Torino