Aliquote differenziate per l’imposta sulle società nell’Unione europea
Valori medio e mediano intorno al 21%, con uno stop nel 2024 alle politiche di riduzione
L’analisi delle aliquote nominali dell’imposta sulle società nei 27 Stati dell’Unione europea vede un panorama eterogeneo, dovuto all’assenza di vincoli derivanti da direttive che fissino uno standard comune per gli Stati membri.
Rifacendosi alle statistiche contenute nel Taxes in Europe Database della Commissione europea riferite al 2024, si possono individuare tre gruppi distinti.
Il primo, che con qualche eccezione si espande intorno al nucleo dei Paesi fondatori dell’Unione, vede aliquote nominali superiori al 20%. Di questo gruppo fanno parte, in primo luogo, Austria (24%), Belgio (25%), Danimarca (22%), Francia (25%), Grecia (22%), Italia (24%), Malta (35%), Paesi Bassi (25,8%), Repubblica Ceca (21%), Slovacchia (21%), Slovenia (22%), Spagna (25%) e Svezia (20,6%).
A questo gruppo dovrebbero aggiungersi quegli Stati che, pur avendo anche in certi casi una aliquota base non superiore al 20%, vedono in realtà addizionali locali obbligatorie che portano il totale al di sopra della soglia. È il caso, ad esempio, della Germania, che a fronte di una aliquota base del 15,825% (imposta fissa federale del 15% + addizionale federale dello 0,825%), vede imposte previste dagli Stati federati mediamente pari al 14%, per cui il prelievo complessivo può essere stimato, considerate le diverse basi imponibili, in un intorno del 27%; analogo discorso vale per il Lussemburgo, in cui all’aliquota base del 17% si aggiungono addizionali statali e per la città di Lussemburgo, o il Portogallo, in cui all’aliquota base del 21% vanno sommate le addizionali.
Un secondo gruppo vede aliquote superiori al 15% ma non al 20%. Di questo fanno parte la Croazia (18%), l’Estonia (20%), la Finlandia (20%), la Lettonia (20%), la Polonia (19%) e la Romania (16%).
Il terzo gruppo, infine, è quello dei “paradisi” dell’Unione, con aliquote massime del 15%, e comprende Bulgaria (10%), Cipro (12,5%), Irlanda (12,5%), Lituania (15%) e Ungheria (9%).
Considerando per Germania, Lussemburgo e Portogallo aliquote complessive stimabili rispettivamente nel 27%, nel 25% e nel 30%, un semplice esercizio statistico vedrebbe una media semplice delle aliquote (non ponderata in base ad alcun fattore) del 20,98% e un valore mediano del 21%. Si tratta di valori leggermente inferiori a quelli degli Stati Uniti d’America, in cui all’imposta federale del 21% si sommano quelle previste dalla maggior parte degli Stati federati, o del Regno Unito, la cui corporation tax è ora prelevata con aliquota nominale del 25%.
L’analisi delle aliquote nominali, naturalmente, è solo uno dei parametri che connota la policy fiscale di ciascuno Stato. Quanto sopra riportato, infatti, non tiene conto di fattori che in più casi hanno il loro peso. A titolo esemplificativo:
- le statistiche della Commissione europea non considerano che imposte variamente denominate hanno natura simile alle imposte sulle società, pur se nominalmente non lo sono (un esempio per tutti, l’IRAP italiana);
- in più casi ad aliquote nominali di un certo peso fanno da contraltare sistemi di determinazione della base imponibile che concedono esenzioni, riduzioni o crediti d’imposta su larga scala (il periodo COVID e post-COVID ha amplificato la tendenza);
- più Stati prevedono aliquote differenziate per le piccole e medie imprese, non sopra menzionate, o in determinati casi aliquote ridotte per i primi scaglioni di reddito;
- alcuni Stati (Estonia e Lettonia) prelevano l’imposta solo all’atto della distribuzione dei profitti, e non invece nel momento in cui i redditi sono prodotti.
Una analisi comparata rispetto all’anno precedente mostra una maggiore propensione degli Stati a incrementare l’aliquota nominale, e ciò anche per gli Stati ex oltrecortina che, entrati nell’Unione europea nel 2004, avevano fatto della bassa imposizione un fattore di attrazione: per la Repubblica ceca, ad esempio, l’imposizione sulle società è passata dal 19% al 21%, e per la Slovenia si è assistito al passaggio dal 19% al 22%.
Va da sé che, se si guarda ad esempio alla norma nazionale italiana, le aliquote nominali rappresentano il discrimine che l’art. 47-bis del TUIR pone per stabilire se una partecipata (non di controllo) è a regime privilegiato ai fini della tassazione dei dividendi e delle plusvalenze: ciò non vale, però, per le partecipate localizzate nell’Unione europea, che per espressa disposizione di legge, evidentemente ritagliata al fine di non esporre l’Italia a censure legate al diritto di stabilimento, non sono mai a regime privilegiato.
Per altri regimi (es. CFC), che a certe condizioni riguardano anche le controllate con sede dell’Unione, il parametro dell’imposizione nominale non rileva, dovendosi invece guardare all’imposizione effettiva, dal 2024 anche con le modalità semplificate introdotte dal DLgs. 209/2023, pur se ovviamente in questo contesto la localizzazione in Stati con aliquote nominali ridotte è maggiormente suscettibile di determinare un livello di imposizione effettiva della controllata altrettanto basso.