Può essere riconosciuta l’indennità di disponibilità ai rider subordinati
Ciò solo se è contrattualmente previsto un obbligo di risposta da parte del lavoratore
Il Ministero del Lavoro, con la circolare n. 9/2025, nel ricostruire il quadro giuridico in cui l’attività prestata dai lavoratori tramite piattaforme digitali si inserisce, ha affermato che per quelli subordinati la disciplina di riferimento sarebbe quella del lavoro intermittente (si veda “Rider etero organizzati da iscrivere nell’assicurazione generale obbligatoria dell’INPS” del 19 aprile 2025).
Si ricorda che il contratto di lavoro intermittente, ai sensi dell’art. 13 del DLgs. 81/2015, viene definito come quel contratto, anche a termine, mediante il quale un lavoratore si pone a disposizione di un datore di lavoro che ne può utilizzare la prestazione lavorativa in modo discontinuo o intermittente secondo le esigenze individuate dai contratti collettivi, anche con riferimento alla possibilità di svolgere le prestazioni in periodi predeterminati nell’arco della settimana, del mese o dell’anno.
Nella circolare viene posto l’accento proprio sulla previsione normativa del carattere discontinuo della prestazione, con la conseguenza per cui la disciplina del lavoro intermittente, qualora richiamata dalla contrattazione collettiva e nell’ambito dei profili di legge, potrà rappresentare il riferimento per regolare il rapporto dei lavoratori tramite piattaforme digitali con vincolo di subordinazione in punto di trattamento economico, normativo e previdenziale.
Qualora si utilizzi tale tipologia contrattuale di lavoro subordinato, il contratto di lavoro dovrà rivestire la forma scritta ai fini della prova e contenere, oltre alle informazioni di cui all’art. 1 comma 1 del DLgs. 152/97, anche gli elementi indicati al comma 1 dell’art. 15 del DLgs. 81/2015. Occorrerà poi rispettare gli obblighi previsti dalla legge per il lavoro intermittente, tra cui l’obbligo di comunicazione da parte del datore di lavoro, prima dell’inizio della prestazione lavorativa o di un ciclo integrato di prestazioni di durata non superiore a 30 giorni, della durata all’Ispettorato del Lavoro territorialmente competente.
Il Ministero sottolinea inoltre che l’attrazione verso la tipologia del lavoro intermittente comporta l’applicazione della normativa in materia di orario di lavoro e impone altresì di considerare la previsione, o meno, di un obbligo di risposta da parte del lavoratore.
A tal proposito si evidenzia che l’obbligo in capo al lavoratore intermittente di rispondere alla chiamata del datore di lavoro deve essere espressamente pattuito nel contratto di lavoro e che, in ragione di tale obbligo, il datore di lavoro è tenuto alla corresponsione della c.d. “indennità di disponibilità”, vale a dire di un’indennità mensile per i periodi di inattività del lavoratore che si sia obbligato alla risposta.
Sul punto il Ministero evidenzia che, qualora il lavoratore sia tenuto a rispondere alle chiamate durante il periodo di permanenza in piattaforma, il periodo di svolgimento della prestazione lavorativa da retribuire coincide con il tempo effettivamente impiegato per rendere la prestazione medesima, mentre per il periodo durante il quale al lavoratore sia richiesto il collegamento con la piattaforma e fino al momento della sua disconnessione è riconosciuta l’indennità di disponibilità, se contrattualmente prevista.
Si ricorda che l’indennità di disponibilità è esclusa dal computo di ogni istituto di legge o di contratto collettivo ed è assoggettata a contribuzione previdenziale per il suo effettivo ammontare. La relativa misura – che non può essere inferiore al minimo fissato con il decreto del Ministro del Lavoro 10 marzo 2004, il cui art. 1 ne determina la misura nel 20% della retribuzione prevista dal CCNL applicato – è stabilita dalla contrattazione collettiva.
Il legislatore ha poi disposto che il rifiuto ingiustificato opposto dal lavoratore di rispondere alla chiamata può costituire motivo di licenziamento e comportare la restituzione della quota di indennità di disponibilità riferita al periodo successivo al rifiuto (art. 16 comma 5 del DLgs. 81/2015). Per il Ministero del Lavoro, tale rifiuto può altresì comportare un risarcimento del danno nella misura fissata dai contratti collettivi o, in mancanza, dal contratto di lavoro (cfr. circ. Min. Lavoro n. 4/2005).
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