La nozione di beni ammortizzabili cambia anche ai fini del pro rata
Secondo la Cassazione è possibile riferirsi alla generalità dei beni di investimento
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 16664 del 22 giugno 2025, pur senza formulare alcun principio di diritto, ha affermato che, ai fini dell’esclusione del meccanismo del pro rata di detrazione IVA per i beni ammortizzabili, devono essere considerati tutti i beni che sono “destinati all’esercizio dell’impresa per un periodo di tempo medio-lungo”.
Ai sensi dell’art. 19-bis comma 2 del DPR 633/72, sono escluse dal calcolo del pro rata di detrazione, tra le altre operazioni, le “cessioni di beni ammortizzabili”.
Al fine di individuare la nozione di “bene ammortizzabile”, in mancanza di una definizione specifica in tema di IVA, la Suprema Corte rammenta che è necessario procedere “sulla base di una «interpretazione conforme»”, trattandosi di un’imposta armonizzata a livello unionale.
È, dunque, opportuno fare riferimento alla definizione di “bene ammortizzabile” che è stata fornita dalle Sezioni Unite (Cass. SS.UU. n. 13162/2024) con riguardo alla fattispecie dei rimborsi IVA, a norma dell’art. 30 comma 2 lett. c) del DPR 633/72.
In tale sede, è stato affermato che il concetto di “bene ammortizzabile” non può essere correttamente inteso nel contesto giuridico dell’IVA facendo rinvio alle previsioni normative in materia di imposte sui redditi (artt. 102 e 103 del TUIR), né alle disposizioni civilistiche in tema di bilancio d’esercizio o ai principi contabili.
È, invece, necessario riferirsi “alla nozione – ampia e sostanzialmente economica – di «beni di investimento» che è quella utilizzata nella direttiva rifusa” (si vedano l’art. 174 par. 2 lett. a) e par. 3, l’art. 188 par. 1 e 2, l’art. 189 lett. a) e l’art. 190 della direttiva 2006/112/Ce), “in quanto unico parametro al quale un’interpretazione conforme deve affidarsi”.
Ne consegue, pertanto, che, per la Cassazione, anche ai fini dell’individuazione delle operazioni escluse dal pro rata, nel novero dei “beni ammortizzabili” – secondo la dizione di cui al citato art. 19-bis comma 2 del DPR 633/72 – rientrano, in via estensiva, i “beni che, pur stricto sensu non ammortizzabili, sono comunque destinati all’esercizio dell’impresa per un periodo di tempo medio-lungo, appunto quali investimenti (beni strumentali)”.
Anche l’Agenzia delle Entrate, di recente, con la risoluzione n. 20/2025, riprendendo la pronuncia delle Sezioni Unite, ha riconosciuto l’applicabilità della nozione di beni d’investimento, prevista dalla direttiva 2006/112/Ce, nell’ambito dei rimborsi IVA, ribadendo che non è corretto riferirsi alle disposizioni in tema di imposte sui redditi (e superando la propria precedente posizione).
Nel documento di prassi citato, l’Agenzia ha concluso che, per l’accesso ai rimborsi IVA annuali e trimestrali, rileva la disponibilità del bene in virtù di un titolo giuridico che ne garantisca il possesso per un periodo di tempo “apprezzabilmente lungo”.
L’Agenzia non si è, però, pronunciata espressamente in merito all’adozione del medesimo concetto di beni d’investimento anche ai fini dell’esclusione delle corrispondenti cessioni di beni dal calcolo del pro rata.
Negli ultimi documenti di prassi sul punto, invece, aveva sostenuto che al fine dell’individuazione dei beni ammortizzabili ex art. 19-bis comma 2 del DPR 633/72 occorre fare riferimento ai criteri validi ai fini delle imposte sui redditi ex artt. 102 e 103 del TUIR (risposte a interpello nn. 165/2020 e 413/2023).
Nel caso di specie, esaminato nella sentenza n. 16664/2025 della Cassazione, è stata riconosciuta l’esclusione dal calcolo del pro rata con riferimento alla cessione di immobili da parte di un consorzio.
Infatti, secondo la ricostruzione della Suprema Corte, il consorzio non svolgeva quale attività quella di gestione immobiliare: i fabbricati detenuti dal consorzio (e poi ceduti) avevano, quindi, natura di beni strumentali, utilizzati dal soggetto passivo nell’esercizio della sua impresa. Facendo pertanto applicazione dei principi affermati dalle Sezioni Unite, la cessione degli immobili era stata correttamente esclusa dal computo del pro rata, trattandosi di “beni di investimento”, destinati all’esercizio dell’impresa per un periodo di tempo sufficientemente ampio.
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