Nessun conflitto di interessi con l’ente per il legale rappresentante non più imputato
Il divieto di rappresentare l’ente scatta quando il rappresentante legale è imputato del reato da cui dipende l’illecito amministrativo
In relazione al procedimento “231” nei confronti di una società, la giurisprudenza penale si interroga sul fatto se il conflitto di interessi – e il conseguente divieto di rappresentare l’ente da parte del legale rappresentante indagato – possano estendersi anche al caso in cui costui sia stato indagato o imputato in un procedimento penale già esauritosi prima della nomina del procuratore speciale.
L’art. 39 comma 1 del DLgs. 231/2001 stabilisce infatti che “l’ente partecipa al procedimento penale con il proprio rappresentante legale, salvo che questi sia imputato del reato da cui dipende l’illecito amministrativo”.
La più recente giurisprudenza di legittimità, chiamata a pronunciarsi sul tema, ha evidenziato che in tali ipotesi l’amministratore non può provvedere alla nomina del difensore dell’ente a causa del conflitto di interessi, senza che sia necessario, a tal fine, un concreto accertamento del giudice (cfr. Cass. n. 13003/2024).
Le stesse Sezioni Unite erano intervenute sul punto precisando che tale divieto si giustifica perché il rappresentante legale e la persona giuridica si trovano in una situazione di obiettiva e insanabile conflittualità processuale, dal momento che la persona giuridica potrebbe avere interesse a dimostrare che il suo rappresentante ha agito nel suo esclusivo interesse o nell’interesse di terzi ovvero a provare che il reato è stato posto in essere attraverso una elusione fraudolenta dei modelli organizzativi adottati.
Si tratterebbe, dunque, di un divieto assoluto che non ammette deroghe, in quanto funzionale ad assicurare la piena garanzia del diritto di difesa al soggetto collettivo. D’altra parte, tale diritto risulterebbe del tutto compromesso se l’ente partecipasse al procedimento attraverso la rappresentanza di un soggetto portatore di interessi confliggenti da un punto di vista sostanziale e processuale. Il divieto, tuttavia, scatta in presenza della situazione contemplata dalla norma, cioè quando il rappresentante legale risulta essere imputato del reato da cui dipende l’illecito amministrativo, sicché il giudice deve solo accertare che ricorra tale presupposto, senza che sia richiesta una verifica circa un’effettiva situazione di incompatibilità (così Cass. SS.UU. n. 33041/2015).
Diversamente, nel caso all’esame della sentenza n. 16932, depositata ieri dalla Cassazione, i rappresentanti legali delle società coinvolte non erano stati imputati – nelle loro qualità e come persone fisiche – con riguardo ai medesimi fatti posti a fondamento della responsabilità amministrativa degli enti. Si trattava invece di due distinti procedimenti penali, che si erano entrambi conclusi con sentenze di non doversi procedere per prescrizione, divenute irrevocabili molti anni prima della nomina dei procuratori speciali incaricati di rappresentare le società nel procedimento in questione.
I giudici di legittimità non condividono, dunque, l’impostazione della Corte d’Appello secondo cui tale situazione di conflitto di interessi prescinderebbe dalla attualità della qualità di imputato o indagato del legale rappresentante.
L’art. 39 citato utilizza infatti il verbo al presente, così come le Sezioni Unite hanno usato l’avverbio “contemporaneamente” a proposito della qualità personale rivestita dal legale rappresentante dell’ente siccome generativa del conflitto di interessi.
Viene altresì ricordato che ai sensi dell’art. 60 c.p.p., richiamato dall’art. 34 del medesimo decreto 231, la qualità di imputato si conserva in ogni stato e grado del processo, sino a che non sia più soggetta ad impugnazione la sentenza di non luogo a procedere, sia divenuta irrevocabile la sentenza di proscioglimento o di condanna o sia divenuto esecutivo il decreto penale di condanna.
Ulteriore e decisivo rilievo a favore della tesi sostenuta dalla sentenza in commento, è dato dal fatto che il divieto di rappresentanza indicato dall’art. 39 del DLgs. 231/2001, si pone come una eccezione alla regola, fissata dalla prima parte del comma 1 della norma, secondo la quale l’ente partecipa al procedimento penale con il proprio rappresentante legale. Come eccezione ad una regola generale, la norma – secondo la Cassazione – deve trovare applicazione attraverso un criterio di stretta interpretazione secondo l’indicazione contenuta all’art. 14 delle preleggi.
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