Il TCF va personalizzato per contrastare il rischio fiscale
L’impresa ha l’obbligo di integrare lo standard dell’Agenzia con i processi, le attività e i rischi che caratterizzano la propria organizzazione interna
Il “nuovo” regime di adempimento collaborativo e, in particolare, la costruzione del tax control framework (TCF) si caratterizza per il passaggio da un modello aperto a un modello standard certificato. La maggiore standardizzazione del modello, e la sua certificazione, è dipesa essenzialmente dall’ampliamento del numero di soggetti potenzialmente interessati e dai maggiori effetti premiali previsti dalla legge. Si tratta tuttavia di una standardizzazione relativa, nel senso che, come più volte affermato nelle linee guida dell’Agenzia delle Entrate, il TCF deve comunque essere personalizzato per adeguarlo alla specifica realtà organizzativa e di business.
Uno dei segnali più evidenti di tale personalizzazione è la matrice dei rischi fiscali di adempimento: il minimum standard di tale matrice è stato fornito dall’Agenzia delle Entrate nelle linee guida, in base alle esperienze maturate negli anni di cooperative compliance dalle imprese già aderenti al regime, ma tale standard va adeguato alle peculiarità di ciascuna impresa nonché alle novità normative che man mano si presentano e di cui la matrice standard non tiene conto: si pensi alla legislazione che riguarda gli effetti sulle imprese del Pillar II e che non trova spazio nella matrice standard.
Un TCF non personalizzato non è adeguato a contrastare il rischio fiscale; è obbligo per l’impresa, quindi, integrare lo standard fornito dall’Agenzia delle Entrate con i processi, le attività e i rischi che caratterizzano la propria organizzazione interna.
Lo standard oggi previsto appare eccessivo per i soggetti che intendono aderire al c.d. TCF volontario in assenza dei requisiti dimensionali; per questa platea di imprese è auspicabile che si pervenga, ad esempio, alla “ideazione” di una matrice più snella e meno complessa.
Il tema della flessibilità della matrice riguarda comunque anche i soggetti che aderiscono al regime di adempimento collaborativo in quanto lo standard fornito presenta alcune rigidità che talvolta rendono più complicata l’operatività, aggravando gli oneri di adempimento.
Il modello di TCF standard e la sua personalizzazione deve anche essere oggetto delle attività del professionista indipendente chiamato a certificare il TCF al fine di attestarne l’adeguatezza rispetto al controllo della variabile fiscale. Nello svolgimento di tali attività, il certificatore si sostituisce all’Agenzia delle Entrate che, sino alla recente riforma del regime di adempimento collaborativo, ha svolto una fase istruttoria di c.d. assessment, caratterizzata da frequenti interlocuzioni con le imprese prima della loro ammissione al regime.
Nel corso dell’assessment, il confronto ha riguardato due fasi successive: il disegno complessivo del sistema di controllo (c.d. company level assessment) e l’analisi di specifici processi, controlli e rischi fiscali mappati dal sistema (c.d. activity level assessment).
Il certificatore dovrà svolgere la funzione sin qui svolta dall’Agenzia delle Entrate in relazione a tali fasi, inclusa la verifica delle integrazioni apportate dall’impresa al TCF standard; e ciò anche in merito alla adeguatezza della mappa dei rischi fiscali derivanti dai principi contabili adottati dal contribuente.
L’art. 7 comma 1 lett. e) del DM n. 212/2024 prevede anche che la certificazione includa la descrizione di eventuali carenze non significative ai fini dell’affidabilità del TCF rinvenute nel corso della validazione dello stesso, nonché delle azioni correttive da attuare. Anche in questo caso, si tratta di una attività prima svolta dall’Agenzia nella fase istruttoria al termine della quale la stessa impegnava le imprese ad apportare alcuni miglioramenti per superare eventuali carenze.
L’effetto della sostituzione di una parte delle attività sin qui effettuate dall’Agenzia delle Entrate con quelle del certificatore dovrebbe accelerare la procedura di ammissione al regime proprio perché il legislatore ha scelto di demandare a un soggetto terzo (qualificato e indipendente) la verifica dell’adeguatezza del TCF. Dovrebbero, quindi, ridursi i tempi di accesso al regime che hanno risentito negli scorsi anni di una lunga e complessa attività istruttoria necessaria all’Agenzia delle Entrate per verificare l’adeguatezza del TCF.
Il dubbio maggiore riguarda la possibilità per la stessa Agenzia di sindacare nel merito – ex post – la certificazione, ed eventualmente entro quali limiti, al di là delle ipotesi di infedeltà della stessa previste dalla legge.
Da una parte c’è chi sostiene che l’Agenzia sia esonerata dall’onere di verificare la bontà del TCF, in considerazione del fatto che la certificazione opera come un visto di conformità; dall’altro c’è chi dà invece per acquisita la possibilità per l’Agenzia di avere un diverso giudizio sul TCF certificato e presentato per l’ammissione. In questo secondo caso, occorrerà “esplorare” le conseguenze e gli effetti di tale sindacato per le imprese (e per la validità del TCF) e per il professionista e le responsabilità che possono derivarne.
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