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FISCO

IVA del 5% per l’abbigliamento con finalità sanitarie salvo prova contraria

L’agevolazione permane anche se è terminato il periodo dell’emergenza COVID-19

/ Luca BILANCINI e Corinna COSENTINO

Sabato, 24 maggio 2025

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Gli articoli di abbigliamento identificati come dispositivi di protezione individuale o come dispositivi medici, ove rientranti nei codici TARIC indicati dall’Agenzia delle Dogane con la circ. n. 5/2023, sono soggetti ad aliquota IVA ridotta del 5% in ogni fase di commercializzazione, dal produttore fino alla vendita al dettaglio, salvo che emerga in modo chiaro e univoco prova di una finalità diversa da quella sanitaria.
È questo in sintesi il chiarimento fornito dall’Agenzia delle Entrate con la risposta a interpello n. 141 di ieri, resa a una società operante nel commercio all’ingrosso di articoli antinfortunistici.

L’agevolazione per la cessione di articoli di abbigliamento protettivo è stata introdotta dall’art. 124 del DL 34/2020, nell’ambito delle misure di contrasto alla diffusione del Coronavirus. Tale norma, tuttavia, ha modificato la Tabella A, parte II-bis, allegata al DPR 633/72, introducendo il n. 1-ter1), prevedendo così “a regime” (dal 1° gennaio 2021) l’applicazione dell’aliquota IVA del 5% per una serie di beni necessari al contenimento dell’emergenza sanitaria.

Diversamente da altre tipologie di prodotti indicate dalla norma (es. ventilatori polmonari, mascherine Ffp2 e Ffp3), per le quali l’aliquota al 5% è disposta senza ulteriori condizioni, per gli articoli di abbigliamento protettivo il riconoscimento dell’agevolazione è espressamente subordinato all’utilizzo “per finalità sanitarie”. Tra gli articoli in questione sono richiamati, a titolo esemplificativo, guanti in lattice, in vinile e in nitrile, visiere e occhiali protettivi, tute di protezione, calzari e soprascarpe, cuffie copricapo, camici impermeabili, camici chirurgici.

In merito ai requisiti dell’agevolazione, l’Agenzia delle Entrate ha fornito nel tempo diversi chiarimenti, precisando fra l’altro che questa si applica a prescindere dalla tipologia di cedente o acquirente (risposta a interpello n. 525/2020). Tuttavia, poiché tali chiarimenti sono stati resi nel periodo dell’emergenza epidemiologica, l’istante pone il dubbio se la finalità sanitaria (e quindi l’aliquota IVA ridotta) possa ancora essere riconosciuta laddove la destinazione dei beni non sia chiaramente identificata. Si fa riferimento, in particolare, all’ipotesi in cui i beni vengono ceduti ad aziende della grande distribuzione, le quali possono utilizzare i prodotti non solo per la protezione dei propri dipendenti, ma anche per la vendita al dettaglio o ai grossisti, aprendo alla possibilità di un uso non sanitario dei beni medesimi. Si chiede, quindi, se in queste circostanze la finalità sanitaria possa ancora essere riconosciuta, anche eventualmente grazie a una dichiarazione in cui l’acquirente attesti che i prodotti acquistati sono utilizzati a tale scopo.

L’Agenzia conferma che l’agevolazione IVA resta ancora valida. Infatti, pur essendo ormai superata la fase dell’emergenza epidemiologica, il legislatore non ha modificato le norme in commento. Inoltre, l’agevolazione risulterebbe attuale in ragione dell’accresciuta sensibilità rispetto alla protezione dell’individuo inteso sia come lavoratore che come cliente.

Per quanto concerne l’ambito applicativo dell’aliquota ridotta, l’Agenzia ricorda che, in base ai chiarimenti forniti con la circolare n. 26/2020, si considerano articoli di abbigliamento protettivo con finalità sanitarie i beni con caratteristiche di dispositivi di protezione individuale (DPI) o di dispositivo medico (DM), tra quelli tassativamente indicati dal n. 1-ter1) sopra citato, che rientrano nei codici TARIC individuati dall’Agenzia delle Dogane e dei monopoli (cfr. circ. nn. 12/2020, 9/2021 e 5/2023).
Ricorda, poi, che la finalità sanitaria va intesa in senso oggettivo, dovendo considerarsi agevolabili i beni che possiedono le caratteristiche idonee a proteggere gli utilizzatori e la collettività dal contagio di virus ed epidemie, senza che assuma rilievo il soggetto che li cede o li acquista o lo stadio di commercializzazione.

L’Agenzia delle Entrate afferma, in conclusione, che se detti beni sono compresi fra i DPI o i DM come sopra classificati, “il requisito dell’uso per finalità sanitarie può ritenersi soddisfatto ogniqualvolta non emerga in modo chiaro e univoco prova del contrario”. Parrebbe, dunque, implicitamente evincersi che non sia ritenuta indispensabile l’acquisizione di documentazione che attesti l’utilizzo dei beni. Va tuttavia sottolineato che la rivista on line dell’Agenzia delle Entrate (Fisco Oggi), nel proprio commento alla risposta a interpello, segnala che la finalità sanitaria potrebbe essere provata “anche attraverso una dichiarazione dell’acquirente”.

In questo senso, in passato era stato già affermato che, laddove la “dimostrazione della finalità sanitaria del prodotto ceduto” non fosse desumibile “dalla natura del cessionario e/o del suo settore di attività”, la stessa avrebbe potuto essere “corroborata con qualsiasi documento ritenuto opportuno, che consenta in sede di controllo di verificare i dati e le situazioni oggettive in essa contenuti”.
L’Amministrazione potrà comunque valutare se tali documenti probatori “siano atti a dimostrare – in base a elementi oggettivi e non a semplici dichiarazioni di parte – l’effettivo uso sanitario dei prodotti” (consulenza giuridica n. 5/2021).

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