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IMPRESA

Chiusura anticipata della liquidazione controllata per insussistenza di attivo

Beneficio esdebitatorio possibile anche prima del decorso del triennio dall’apertura

/ Chiara CRACOLICI e Alessandro CURLETTI

Mercoledì, 23 luglio 2025

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Offre spunti interessanti per gli operatori del settore il recente provvedimento con cui il Tribunale di Torino, il 7 giugno 2025, ha ordinato la chiusura anticipata – ovverosia, anteriormente al decorso del triennio dalla sua apertura – di una procedura di liquidazione controllata del sovraindebitato promossa da una debitrice persona fisica, in proprio, ai sensi degli artt. 268 ss. DLgs. 14/2019 (Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, CCII), per insussistenza di attivo ex artt. 233 comma 1 lett. d) e 276 del CCII.

Sotto un profilo normativo, ai sensi dell’art. 272 comma 3 secondo paragrafo del CCII, nella sua attuale versione risultante dalle modifiche, da ultimo, apportate dal DLgs. 136/2024 (decreto correttivo-ter), la procedura di liquidazione controllata del sovraindebitato rimane aperta sino alla completa esecuzione delle operazioni di liquidazione e, in ogni caso, per tre anni decorrenti dalla data di apertura; la procedura liquidatoria, inoltre, è chiusa anche anteriormente, se risulta che non può essere acquisito ulteriore attivo da distribuire.

La parte finale della norma altro non contiene se non la felice trasposizione, anche all’interno della procedura di liquidazione controllata del sovraindebitato (oltre che in quella maggiore, di liquidazione giudiziale), del principio enunciato nella disposizione – citata nel decreto motivato in commento e riferita, per l’appunto, alla liquidazione giudiziale – di cui all’art. 233 comma 1 lett. d) del CCII, corrispondente, come anticipato, alla possibilità per il giudice delegato di ordinare la chiusura anticipata della procedura liquidatoria ove nel corso della stessa dovesse accertarsi che la sua prosecuzione non consentirebbe di soddisfare, neppure in parte, i creditori concorsuali, né i crediti prededucibili e le spese di procedura.

Nel caso di specie, pertanto, il giudice delegato, in applicazione sostanziale della modifica normativa e richiamata la disposizione di cui sopra, ha ordinato, anteriormente al decorso del triennio, la chiusura anticipata della procedura liquidatoria minore, per insussistenza di attivo da distribuire tra i creditori. E sin qui, senza dubbio, la portata del decreto è sicuramente innovativa; tuttavia, mette conto osservare come un ulteriore elemento importante si possa altresì individuare nella parte in cui, pur con un inciso, lo stesso si sia soffermato sugli effetti che una tale determinazione potrebbe sortire sulla eventuale esdebitazione.

Sul punto, l’esame della fattispecie può essere di aiuto. L’accertamento circa l’insussistenza di attivo si è fondato sulla constatazione che, dell’intero patrimonio della debitrice – considerata l’autorizzazione, conferita al liquidatore, di non procedere con l’acquisizione di una autovettura e di alcuni terreni – l’unico bene che sarebbe stato ricompreso nella procedura sarebbe stato rappresentato dai differenziali mensili della propria retribuzione rispetto a quanto occorrente al mantenimento proprio e del proprio nucleo familiare.
In tal modo, si è constatato il rifiuto, da parte della debitrice, di procedere con detti versamenti mensili, rifiuto giustificato alla luce della affermata e ipotizzata impossibilità di accedere, una volta decorso il triennio dall’apertura della procedura, al beneficio esdebitatorio ex art. 282 del CCII, in considerazione della natura dei debiti componenti il passivo concorsuale, nella specie, sanzioni irrogate dall’Ispettorato provinciale del lavoro e non accessorie ad altro debito, le quali risultano ex lege – quanto meno con riferimento alla procedura di liquidazione giudiziale – escluse dall’esdebitazione dasto il disposto di cui all’art. 278 comma 7 lett. d) del CCII.

Tanto considerato, il decreto del Tribunale di Torino osserva – una volta ordinata la chiusura della procedura – come il radicale rifiuto di cooperazione della debitrice sia di per sé sufficiente a rigettare l’eventuale istanza di esdebitazione, “quand’anche possibile”. Ad avviso di chi scrive, esulando per un momento dallo specifico caso posto all’attenzione del giudicante e provando a ragionare per principi generali, l’evidenziato passaggio del citato provvedimento pare particolarmente interessante, ponendo il non semplice interrogativo relativo alla possibilità, per il debitore istante, di formulare l’istanza di esdebitazione ex art. 282 del CCII anche nel caso in cui la procedura dovesse arrestarsi prima del decorso del triennio dalla sua apertura.

Una rigorosa interpretazione della sentenza della Corte Costituzionale n. 6 del 19 gennaio 2024 porterebbe a propendere per una risposta negativa. Sennonché, l’uso, non casuale, dell’inciso “quand’anche possibile”, contenuto nel menzionato provvedimento, dimostra ancora una volta come il dibattito, sul punto, risulti tutt’altro che chiuso.

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