Liquidazione anche senza beni presenti con ragionevole certezza di beni futuri
Impegno irrevocabile allo scioglimento del fondo patrimoniale rilevante nella composizione delle crisi da sovraindebitamento
Degna di nota, sotto diversi e plurimi aspetti, risulta la sentenza con cui il Tribunale di Rimini, in data 26 giugno 2025, ha dichiarato aperta la procedura di liquidazione controllata richiesta da un sovraindebitato in proprio – un debitore persona fisica, il quale assumeva di essere stato, in passato, socio illimitatamente responsabile di una società di persone, poi dichiarata fallita e il cui fallimento veniva successivamente chiuso – ai sensi degli artt. 268 ss. del DLgs. 14/2019, come, da ultimo, modificato dal DLgs. 136/2024.
La sentenza appare interessante sotto due distinti profili.
In primo luogo, il Tribunale di Rimini, richiamando all’uopo un proprio precedente del 15 febbraio 2023 (nella specie, un decreto di apertura di un concordato minore liquidatorio ex art. 74 comma 2 del CCII), ma in verità assumendo una decisione de facto conforme a quanto già in precedenza statuito per la prima volta (anche) dal Tribunale di Torino - pur nel contesto di una fattispecie ancor disciplinata sotto l’egida della previgente L. 3/2012 – con decreto di omologazione di un accordo di composizione della crisi in data 13 aprile 2021, si è soffermato sulla questione relativa alla legittimazione del debitore, nella propria qualità di ex socio illimitatamente responsabile di una società di persone fallita (con fallimento poi dichiarato chiuso), di accedere alla procedura di liquidazione controllata del sovraindebitato ex artt. 268 ss. del CCII.
Questione rispetto alla quale il Tribunale di Rimini ha osservato, in via preliminare, come “la chiusura del fallimento personale del ricorrente e del fallimento sociale non impedisca l’accesso alla procedura di sovraindebitamento”; peraltro, a ciò è stato altresì ulteriormente aggiunto che la circostanza che siano decorsi cinque anni dalla chiusura del fallimento consenta di poter affermare che detta procedura non possa neppure essere riaperta ai sensi dell’art. 121 del RD 267/42, il che, pertanto, ancor rafforzerebbe la tesi della non (più) assoggettabilità a liquidazione giudiziale (in senso conforme, sotto questo aspetto, Trib. Torino 13 aprile 2021).
In secondo luogo, la sentenza in commento si è, in un certo senso, distinta nel vasto panorama giurisprudenziale in materia di composizione delle crisi da sovraindebitamento, avendo operato un equo contemperamento dei contrapposti interessi – del debitore e dei creditori – nell’ambito di una che, quanto meno prima facie, si sarebbe prospettata alla stregua di una liquidazione controllata senza beni, come tale, giusta la novità normativa di cui al decreto correttivo-ter, inammissibile.
Ora, nella fattispecie concreta, in assenza di un differenziale reddituale rispetto all’occorrente per il mantenimento familiare e di altri beni mobili o mobili registrati, gli unici beni di proprietà del debitore – o meglio, in comproprietà del debitore e del coniuge – sarebbero stati rappresentati da alcune quote di beni immobili, costituite, già da molto tempo, in un fondo patrimoniale. Nella consapevolezza che dette quote non avrebbero potuto essere comprese nella liquidazione e al fine di “rendere economicamente fruttuosa la procedura liquidatoria”, il debitore e il coniuge rendevano, pertanto, in sede di ricorso, un impegno irrevocabile, condizionato all’apertura della liquidazione controllata, a sciogliere il fondo patrimoniale liberando i beni ai fini della loro alienazione da parte del nominando liquidatore, in ossequio al principio della competitività.
Orbene, pur in assenza di beni presenti, il Tribunale di Rimini ha ritenuto che detto impegno potesse comunque essere idoneo a ritenere sussistente, “con ragionevole margine di certezza”, un attivo futuro da apprendere alla procedura liquidatoria, con il che la procedura avrebbe potuto essere aperta. A ciò si aggiunga che una interpretazione in tal senso, oltre che a tutela del debitore, si sarebbe posta anche a tutela del ceto creditorio, il quale, correttamente osserva il giudice riminese, “non avrebbe diversamente modo di aggredire quei beni”.
Da ultimo, vero è che, in linea generale, potrebbe esistere il rischio che il debitore non ottemperi ad un (mero) impegno, ma vero è anche che, in detta ipotesi, la procedura verrebbe chiusa per insussistenza di attivo ex art. 272 comma 3 del CCII e che detto comportamento non collaborativo verrebbe certamente valutato in sede di esdebitazione ex art. 282 del CCII. Sotto tale ultimo profilo, anche il Tribunale di Rimini, come il Tribunale di Torino nel decreto di chiusura in data 7 giugno 2025, ritiene, pertanto, che, in caso di chiusura anticipata della procedura per insussistenza di attivo da distribuire tra i creditori per un fatto del debitore, il debitore non possa domandare l’esdebitazione ex art. 282 del CCII, risultando ostativa alla concessione del beneficio l’assenza della condizione di cui all’art. 280 comma 1 lett. c) del CCII.
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