Integrano la prova scritta i messaggi whatsapp attestanti la locazione dissimulata
Se si producono le chat con richiesta del canone e i bonifici eseguiti, ammissibile anche la prova testimoniale della simulazione del comodato
Se il comodato precario di un immobile dissimula, in realtà, una locazione, l’asserito comodatario può resistere alla pretesa di restituzione del bene avanzata dall’altra parte, avvalendosi dei messaggi whatsapp che attestano la richiesta di pagamento dei canoni dell’asserito comodante, nonché dei bonifici eseguiti a tale titolo, i quali rendono ammissibile il ricorso alla prova testimoniale della simulazione relativa.
I documenti in questione, pur non avendo i connotati della controdichiarazione scritta richiesta per la prova della simulazione tra le parti in base al combinato disposto degli artt. 1417 e 2722 c.c., integrano gli estremi del principio di prova scritta di cui all’art. 2724 n. 1) c.c. e, pertanto, consentono di superare la regola dell’inammissibilità della testimonianza vigente in materia.
È quanto affermato dal Tribunale di Spoleto nella sentenza n. 284 del 3 giugno 2025.
Nel caso di specie, la proprietaria dell’immobile agiva in giudizio contro il presunto comodatario per la condanna alla restituzione del bene.
A fondamento della sua pretesa, la ricorrente allegava l’intervenuta stipulazione di un contratto di comodato a tempo indeterminato, poi risolto con apposita missiva recante la richiesta di rilascio, a fronte del bisogno di destinare la res al soddisfacimento delle esigenze abitative della propria madre. L’istanza era stata, però, disattesa dal comodatario, che aveva continuato a occupare l’immobile gratuitamente, così dando luogo ai presupposti per l’ulteriore condanna al risarcimento del danno commisurato al valore di mercato dell’appartamento nell’ipotesi di locazione dello stesso.
Il resistente eccepiva, però, che il comodato precario dissimulava una locazione e che proprio in forza di tale contratto oneroso aveva versato periodicamente alla proprietaria, a mezzo di bonifico, svariati importi a titolo di corrispettivo per il godimento dell’immobile, fatta salva una temporanea interruzione dei pagamenti dovuta ai suoi problemi di salute. L’asserito comodatario chiedeva, quindi, in via riconvenzionale, l’accertamento della simulazione relativa e dell’effettiva esistenza tra le parti di un contratto di locazione.
L’accoglimento della domanda del resistente da parte dalla sentenza in commento è sorretto da un apparato motivazionale perlopiù incentrato sulla valutazione di ammissibilità delle prove offerte dallo stesso in ordine all’esistenza del contratto dissimulato, ossia:
- i messaggi whatsapp con i quali la ricorrente aveva, in più occasioni, domandato il pagamento dei canoni mensili, inviando il proprio IBAN per l’accredito;
- i bonifici eseguiti dal resistente per il pagamento di una mensilità del canone e della caparra;
- la testimonianza resa da un terzo, il quale aveva dichiarato di aver prestato al resistente il denaro consegnato da questi alla ricorrente a titolo di canone.
Nel riconoscere l’efficacia dimostrativa degli elementi istruttori sopra elencati rispetto all’intervenuta simulazione relativa, il Tribunale di Spoleto si richiama, innanzitutto, al consolidato principio giurisprudenziale secondo cui il principio di prova per iscritto ex art. 2724 n. 1) c.c., idoneo a consentire l’ammissione della prova testimoniale per accertare, tra le parti, la simulazione può anche essere costituito da una scrittura non firmata, purché le dichiarazioni in essa contenute siano state espressamente o tacitamente accettate dal dichiarante, del quale non è necessaria la sottoscrizione (Cass. 28 luglio 2015 n. 15845).
Quanto, poi, allo specifico tema dell’efficacia probatoria delle chat, dei messaggi whatsapp e degli sms conservati nella memoria di un telefono cellulare, la decisone in esame si inserisce nel solco delle numerose pronunce con la quali la Cassazione ha riconosciuto la piena utilizzabilità degli stessi quali prove documentali e la legittimità della loro acquisizione mediante la mera riproduzione fotografica (Cass. SS.UU. 27 aprile 2023 n. 11197). Si tratta, nello specifico, di documenti elettronici che contengono la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti e che, sebbene sprovvisti di firma, sono riconducili al novero delle riproduzioni informatiche e rappresentazioni meccaniche di cui all’art. 2712 c.c.; essi, pertanto, formano piena prova dei fatti e delle cose rappresentate se colui contro il quale sono prodotti non ne disconosca in modo chiaro, circostanziato ed esplicito la conformità ai fatti o alle cose medesime (Cass. 16 luglio 2024 n. 19622).
I suesposti principi di diritto, associati alla constatazione che l’asserita comodataria non aveva, in concreto, contestato di essere l’autrice dei messaggi a lei riferibili nella chat, né aveva disconosciuto la conformità di quanto in essa rappresentato rispetto alla realtà dei fatti, hanno, in definitiva, condotto il Tribunale di Spoleto a riconoscere alle conversazioni inter partes (oltre che ai bonifici eseguiti) la valenza di principio di prova scritta dell’esistenza della locazione; esistenza, questa, ulteriormente corroborata dalle dichiarazioni testimoniali.
Vietata ogni riproduzione ed estrazione ex art. 70-quater della L. 633/41