ACCEDI
Venerdì, 24 ottobre 2025 - Aggiornato alle 6.00

PROFESSIONI

In aumento le aggregazioni tra commercialisti

L’indagine della FNC dimostra anche la tendenza alla crescita dimensionale degli studi e alla diversificazione dell’attività

/ Savino GALLO

Venerdì, 24 ottobre 2025

x
STAMPA

download PDF download PDF

Nonostante una legislazione fiscale che non agevola questo tipo di percorso (si pensi alla tassazione sui forfetari), sono sempre di più i commercialisti che, negli ultimi anni, hanno intrapreso la via dell’aggregazione professionale. A dimostrarlo un’indagine statistica realizzata dalla Fondazione nazionale di categoria in collaborazione con l’Università degli studi di Bergamo, l’Università Politecnica delle Marche e la Libera Università Mediterranea LUM “Giuseppe Degennaro”.

La ricerca, presentata ieri nel corso della seconda giornata dal Congresso di Genova, è stata condotta attraverso un sondaggio a cui hanno risposto quasi 3.700 commercialisti, e di questi il 51,6% ha dichiarato di esercitare la professione in una forma aggregata (associata, societaria, condivisa o altro). Rispetto al 2018, ultimo anno in cui è stata realizzata un’indagine simile, la percentuale è cresciuta del 13,1% (era al 38,5). In particolare, chi esercita in uno studio associato o in una STP sale dal 21,9% al 29,4%. L’incremento maggiore riguarda proprio le società tra professionisti, passate dal 2,2 al 6,7%, mentre per gli studi associati l’aumento è stato del 3% (dal 19,7 al 22,7).

Balzo in avanti significativo anche per gli studi condivisi (dal 14 al 20,2%), che giuridicamente rimangono composti da professionisti individuali ma che rappresentano comunque una prima forma di aggregazione, che si sostanzia nella condivisione delle spese e/o dei mezzi impiegati nell’attività. Gli studi individuali non condivisi rimangono la maggioranza in termini relativi, ma per la prima volta scendono sotto il 50% (48,4%) rispetto a oltre il 60% del 2018.

L’indagine attesta anche la tendenza dei commercialisti italiani a strutturare il proprio studio, aumentandone le dimensioni. Rispetto al 2018, infatti, gli studi fino a cinque addetti, pur rimanendo la maggioranza assoluta (61,1%), si riducono del 10,7%. In particolare, gli studi monoaddetto diminuiscono del 4,5% (dal 29,5 al 25%), mentre quelli senza dipendenti scendono dal 41,1 al 34,3% (meno 6,8%). Gli studi con più di cinque (e meno di dieci) dipendenti passano dal 12 al 20,2%, mentre quelli con più di dieci addetti aumentano dall’11,2 al 18,9%. Resta stabile, invece, la quota di studi senza praticanti, ferma al 79%, quelli con più di 10 praticanti sono solo l’1%.

L’aumento delle dimensioni dello studio va di pari passo con la crescita del fatturato. Gli studi con un fatturato inferiore a 100 mila euro passano dal 48,5 al 35,1%, facendo registrare un calo del 13,4%, mentre gli studi con un fatturato superiore a 500 mila euro passano dal 13,8 al 24,7%.

L’altra faccia della medaglia della crescita dimensionale e strutturale dello studio è la diversificazione dell’attività professionale e, quindi, l’aumento della specializzazione in ambiti diversi da quello classico, legato alla contabilità. Quest’ultimo rimane la principale fonte di guadagno per buona parte dei commercialisti, ma anche in questo caso i numeri lasciano intravedere una tendenza al cambiamento, seppur meno marcata. Gli studi fortemente dipendenti dalla contabilità e dai dichiarativi fiscali (quota di fatturato superiore all’80%) si riducono di 3,6 punti percentuali, passando dal 30,9 al 27,3%, mentre gli studi che non si occupano di contabilità e dichiarativi se non in misura marginale (meno del 20% del fatturato) crescono dell’1,7%, passando dal 12,4 al 14,1%. Nel mezzo gli studi che combinano contabilità e dichiarativi con attività specialistiche, che crescono dello 1,9%, arrivando al 58,6% del totale.

TORNA SU