Né ausiliari dell’evasione, né dipendenti del Fisco
L’impressione è che questa volta al Direttore dell’Agenzia delle Entrate siano un po’ scappati i cavalli.
Attilio Befera è un alto dirigente della pubblica amministrazione di indiscussa capacità, ivi compresa la capacità di sapersi far apprezzare per le sue doti dirigenziali da governi di colore diverso, districandosi al meglio tra le pieghe dello spoil system.
Una persona capace di tanto equilibrio non potrà che convenire con qualunque commercialista italiano che si sente fortemente indispettito dalle dichiarazioni rilasciate in occasione della sua audizione presso la commissione finanze della Camera.
“Basta con i commercialisti che agevolano l’evasione fiscale. I professionisti devono diventare nostri partner nella lotta all’evasione. Vogliamo la loro collaborazione”: questi sono i virgolettati che hanno riportato, con non poco risalto un po’ tutti i mezzi di comunicazione.
La necessità di enfasi mediatica avrà magari fatto dimenticare di includere nei virgolettati un “alcuni” che sarà stato probabilmente detto, ma questo sposta poco i termini della questione.
I commercialisti che agevolano l’evasione fiscale e i comportamenti irresponsabili (quando non delinquenziali) dei propri clienti sono meno di una minoranza: sono una rarità.
La quasi totalità di coloro che offrono consulenza in ambito tributario studia e approfondisce per garantire ai propri clienti un prelievo tributario che sia senz’altro il più possibile indolore, ma all’interno di confini di legalità capaci di reggere ad eventuali contestazioni.
Perché, esattamente come nei rapporti contrattuali tra controparti, anche nel rapporto tributario il buon commercialista sa che fa un buon servizio al suo cliente solo se riesce a fargli ottenere il giusto e non invece se riesce a fargli ottenere più del giusto, perché in quest’ultimo caso si stanno solo poggiando le basi per future controversie assai più onerose del vantaggio immediato.
La piccola evasione diffusa del “nero” si svolge in larghissima parte senza alcun tipo di intervento di altri che non il contribuente stesso (semplicemente non dichiara), così come la grande evasione elitaria della esterovestizione di redditi e capitali si svolge in larghissima parte con l’assistenza di consulenti stranieri che, ironia della sorte, rubano ai commercialisti italiani la clientela proprio in ragione della maggiore appetibilità dei sistemi fiscali e finanziari dei loro Paesi.
Quello che però ancor di più stupisce delle dichiarazioni così assertive del dott. Befera è la natura imperativa della richiesta di collaborazione, quasi come se ritenesse di poterla esigere.
I commercialisti italiani la loro collaborazione la prestano da anni e anni all’amministrazione finanziaria italiana.
Basti pensare soltanto a tutto il processo di informatizzazione che ha portato l’Agenzia delle Entrate ad essere una delle pubbliche amministrazioni italiane più avanzate dal punto di vista tecnologico; successo da ricercare forse proprio nell’efficienza di quelle strutture esterne all’amministrazione (i nostri studi) che, volenti o nolenti, si sono sobbarcate il ruolo di sua interfaccia tecnologica presso i cittadini.
O ancora alle chiare posizioni del Consiglio Nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili sulla opportunità di potenziare e migliorare gli strumenti di accertamento sintetico, per una più efficace lotta all’evasione.
La collaborazione, in altre parole, c’è e c’è sempre stata.
Chiedere con cortesia di renderla sempre più stretta, può anche essere considerato dai destinatari della richiesta un attestato di stima (anche se questa stima sembrerebbe a intermittenza), ma pretenderla, nel nome di non si sa bene quale diritto, questo davvero appare incomprensibile.
In occasione di uno degli ultimi appuntamenti nazionali della categoria dei commercialisti, il dott. Befera disse che, per certi versi, ci vedeva quasi come dei suoi dipendenti.
Come battuta volta a creare un clima rilassato e di contiguità fu senz’altro simpatica.
L’importante ora è che però non ci creda sul serio, perché non mi risulta che per l’attività svolta in ambito tributario i commercialisti prendano dallo Stato alcun compenso (mentre l’Agenzia delle Entrate sì), se non il ridicolo euro per ogni invio telematico.
Per fortuna, valiamo parecchio, ma parecchio di più.
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