Riscossione: rimosso il termine, ora attenti alle sanzioni
A quanto pare, il buon senso sta alla fine prevalendo e, salvo ulteriori inversioni di rotta dell’ultimo minuto, in sede di conversione in legge del DL 78/2010, il Parlamento, con il placet del governo, dovrebbe votare gli emendamenti che rimuoveranno l’osceno termine finale di efficacia del provvedimento di sospensione della riscossione nelle more del giudizio di primo grado.
Né 150 né 300 giorni, dunque, bensì efficacia destinata a durare fino a quando non arriva la sentenza, proprio come accade ora e proprio come è lecito pretendere in uno Stato civile.
Possiamo rivendicare con soddisfazione il ruolo giocato dalla nostra Categoria, assai più reattiva di altre su questi temi, come del resto è logico che sia.
Quando si tratta di materie di nostra naturale competenza come quella fiscale, è del tutto logico che, così come a livello individuale il piccolo o il grande imprenditore seguono il nostro consiglio, allo stesso modo a livello categoriale le associazioni confindustriali e della piccola impresa facciano proprie le tesi da noi già sviscerate.
L’attenzione del legislatore per il problema aperto su questo fronte dalle iniziali previsioni del DL 78/2010 era, del resto, risultato palpabile sin dall’audizione che il CNDCEC, nella persona del suo Presidente Claudio Siciliotti, aveva avuto lo scorso 9 giugno 2010 presso la Commissione Finanze del Senato.
La nostra funzione di tecnici attenti ci impone, però, di non fermarci qui.
Infatti, ora che, sul tema della concentrazione della riscossione nell’accertamento, sembra ormai superata la questione più spinosa in termini di principio, diviene possibile mettere altra carne al fuoco che, sino ad ora, era stata viceversa tenuta nelle retrovie, proprio per evitare un ingolfamento di segnalazioni, proposte e dubbi.
Già alcune settimane fa, dalle colonne di questo quotidiano, Alfio Cissello (si vedano “Avviso di accertamento: il sistema che verrà”, del 14 giugno e “Sanzionati gli omessi versamenti delle somme richieste con accertamento”, dell’8 giugno) ha avuto modo di sottolineare come, norme alla mano, la concentrazione della riscossione nell’accertamento rischia di aprire nuovi e preoccupanti orizzonti in termini sanzionatori.
Il comma 1 dell’articolo 13 del DLgs 471/1997 prevede infatti che, in caso di omesso o tardivo versamento, alle scadenze previste, dei versamenti periodici e di quelli dovuti in acconto o saldo di imposte risultanti dalla dichiarazione, risulti dovuta una sanzione pari al 30% dei versamenti omessi o tardivi.
Il successivo comma 2 stabilisce ulteriormente che “Fuori dei casi di tributi iscritti a ruolo, la sanzione prevista al comma 1 si applica altresì in ogni ipotesi di mancato pagamento di un tributo o di una sua frazione nel termine previsto”.
Ora, poiché l’italiano è italiano, è assolutamente corretto chiedersi: ma nell’istante in cui le imposte non vengono più iscritte a ruolo, perché l’accertamento è direttamente esecutivo, sarà mica che se non pago alla scadenza gli importi richiesti nell’avviso (che, nel caso di ricorso, sono “solo” il 50% della maggiore imposta accertata), mi ritrovo sul groppone anche la sanzione del 30% ex art. 13 del DLgs 472/1997, oltre ovviamente alle sanzioni direttamente connesse all’accertamento di una maggiore imposta non dichiarata?
Poiché i vertici dell’Agenzia delle Entrate hanno affermato in quest’ultimo mese che le novità non mirano a rendere la riscossione più onerosa per il contribuente, ma soltanto a renderla più efficiente nell’interesse del contribuente stesso, mi verrebbe da dire che questo effetto non sia in realtà voluto, altrimenti saremmo di fronte alle favole della nonna.
Ebbene, giusto per non correre rischi, è il caso allora di introdurre qualche ulteriore precisazione normativa in sede di conversione in legge del DL 78/2010.
Non perché si dubiti della buona fede, ma semplicemente perché, lo sanno tutti, prevenire è meglio che curare.
Provvedere, grazie.
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