E se a capo dell’Agenzia ci fosse Jack Nicholson?
Befera invita al dialogo col contribuente, ma sembra il protagonista del film «Codice d’onore»: l’obiettivo di recupero per 20 miliardi non promette bene
Il Direttore dell’Agenzia delle Entrate, Attilio Befera, nei giorni scorsi ha preso carta e penna ed ha scritto ai suoi funzionari (si veda “Befera: stop agli accertamenti vessatori” del 6 novembre).
Ha detto loro di non essere inutilmente rigidi nel rapporto con il contribuente, di cercare sempre e comunque il dialogo ed il confronto preventivo e di non esasperare mai i rilievi al solo fine di accertare e recuperare il più possibile, al di là delle oggettive evidenze di merito e di interpretazione giuridica.
Tutto talmente giusto e condivisibile che è forse la volta buona che bisogna avere paura per davvero, se si considera che i nostri amici e dirimpettai dell’Agenzia delle Entrate sono sovrastati da obiettivi di recupero sul 2011 per 20 miliardi di euro, il doppio esatto dei 10 miliardi circa che dovrebbero riuscire a recuperare quest’anno (raggiungendo quello che, già così, sarebbe un record rispetto agli anni passati).
Un editorialista di spessore citerebbe ora il noto detto latino: “timeo Danaos et dona ferentes” (temo i Greci e i doni che portano).
Un editorialista di spessore, appunto.
A me, invece, viene in mente un film di Hollywood, passato anche di recente in televisione: Codice d’onore, con Jack Nicholson e Tom Cruise. Nella caserma USA di Guantanamo un soldato di nome Santiago, poco propenso a fare la sua parte e poco rispettoso delle gerarchie militari, getta ombra sull’impeccabile stato di servizio del corpo dei marines. Il comandante Nathan Jessep (Jack Nicholson) avvisa pubblicamente tutti i suoi uomini che nessuno deve permettersi di toccarlo; dopodiché, nelle segrete stanze, dà ai suoi marines l’ordine di applicargli un “codice rosso”, cioè una sorta di atto di nonnismo con finalità di punizione disciplinare.
La punizione finisce poi in tragedia, innescando il processo in cui Tom Cruise fa la parte dell’avvocato brillante per tutto il resto del film.
Ora, ci si potrebbe chiedere: sarà mica che il generale-direttore “Nathan Jessep Befera” sta dicendo a tutti di non toccare il contribuente Santiago, mentre l’ordine di servizio in codice è quello di applicare il “redditometro rosso”, senza fare prigionieri fino al raggiungimento dei 20 miliardi di gettito?
Certo che no.
È da escludersi, o per lo meno noi escludiamo qualsivoglia intenzionalità in questa direzione.
Anzi, vi è di che essere convinti, o per lo meno noi lo siamo, che le uniche intenzioni del direttore Befera sono quelle che emergono dalla lettera che ha scritto: cercare di non far perdere di vista ai funzionari dell’Agenzia delle Entrate che, nonostante gli insostenibili incrementi di obiettivi di cui sono stati resi loro malgrado strumento, quello che essi svolgono rimane un servizio a favore dei cittadini e non contro i cittadini, da svolgere pertanto con modalità consone a questo ruolo.
Purtroppo però, gli uomini sono fatti molto più di carne e sangue che non di buone intenzioni.
E le pressioni, unite alla inevitabilità di una base in cui a molti ottimi elementi se ne mischiano di meno ottimi, possono talvolta vanificare in partenza anche i più encomiabili appelli e messaggi che i vertici provano a lanciare.
Lo sappiamo bene anche noi, se guardiamo in casa nostra, come sempre bisognerebbe fare prima di guardare in casa altrui: basta pensare alla grande centralità data all’etica non più di due settimane fa al congresso di Napoli e ai tristi fatti dei dieci e passa commercialisti arrestati a Bari nei giorni scorsi.
Parlare è facile, mettere in pratica meno e quando poi si è una comunità ampia, i problemi si amplificano.
Cosa ci lascia allora la lettera del Direttore Befera, al di là del sicuro apprezzamento per le lodevoli intenzioni?
Più che serenità, direi la consapevolezza che è in arrivo un 2011 di rapporti fisco–contribuenti molto, ma molto difficili.
E, considerato che non sono mai stati uno scherzo, buon 2011 a tutti.
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