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LETTERE

Il nuovo accertamento sintetico ignora il concetto di «risparmio»

Mercoledì, 3 agosto 2011

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Gentile Direttore,
continuo a leggere, anche e soprattutto da parte di autorevoli colleghi, valutazioni positive – anche se con vari distinguo – in merito ai nuovi strumenti destinati all’accertamento sintetico: per quasi tutti è pacifico che il concetto alla base sia valido. Vale a dire che, nell’opinione comune, l’assunto per il quale “chi spende una certa cifra in un determinato periodo deve averla fiscalmente dichiarata in tale stesso periodo” è fondamentalmente esatto. Niente di più sbagliato, mi permetto di far notare. Potrebbe essere astrattamente valido in riferimento a un lasso di tempo di medio termine, poniamo un quinquennio o un decennio. Ma non ha alcuna ragion d’essere per un’unica annualità. Proprio qui sta il limite dei vari redditometro, spesometro e accertamento sintetico.

Se noi prendiamo per valido l’assunto secondo cui chi spende 100 in un anno deve aver dichiarato almeno 100 in quello stesso anno, perdiamo di vista la realtà dei fatti. Può essere abbastanza valido per le spese di routine, ma nel momento in cui andiamo a concentrarci sulle spese una tantum, sulle spese voluttuarie, sulle spese che escono dall’ordinarietà (e per quanto se ne dica, è proprio su queste che si concentra il “sintetico”), tale concetto perde il suo significato; anzi, esso diventa errato ed estremamente fuorviante.

Chi di noi acquista un’auto con il reddito di un solo anno? Chi acquista una casa – ancorché in parte tramite l’accensione di un mutuo – tramite il reddito di quell’anno? Questa stortura inficia tutto il meccanismo degli accertamenti sintetici: significa cancellare con un tratto di penna lo stesso concetto di “risparmio”.
Volete allora affermare che non esiste più il risparmio, che nessuno lavora più diversi anni per comprarsi una casa o l’auto dei suoi sogni o la vacanza della vita? Volete affermare questo? Bene, affermatelo, ma almeno non spacciatelo per la realtà.
Così ragionando si arriverebbe al seguente paradosso: mettiamo il caso in cui un contribuente il giorno 1° gennaio di un anno X acquisti una casa da 250.000 euro mutuandone 150.000 e pagando la differenza con mezzi propri. Ebbene, secondo il concetto “sintetico”, tale contribuente dovrebbe aver dichiarato quegli stessi 100.000 euro in tale anno X; anzi, ragionando per assurdo, considerando che l’acquisto avviene al primo giorno dell’anno, tale contribuente dovrebbe averli guadagnati in un giorno (!). Ma è evidente che quei soldi devono per forza di cose provenire dai risparmi dell’anno precedente (X-1) – per non dire di più anni precedenti – e il concetto che sottende all’accertamento sintetico diventa paradossale, oltre che inapplicabile per illogicità. Il limite di questi strumenti è il fatto di “sezionare” la vita di un contribuente in annualità fiscali; così facendo si creano dei compartimenti stagni che cancellano il concetto di risparmio o di redditi accumulati nel tempo.

Slegare l’equazione spesa=reddito da un contesto di medio periodo è fuorviante. E quello che mi sorprende è, come accennavo, che secondo molti professionisti tale concetto è essenzialmente valido. L’equazione spesa=reddito (quando tale equazione è relegata a un lasso di tempo ristrettissimo) è una forzatura tutta teorica. Benissimo utilizzare alcuni strumenti per combattere la grande evasione o per individuare stili di vita al di sopra delle proprie possibilità, ma ricordiamoci che stiamo parlando di una forzatura prettamente normativa che, se applicata in maniera diffusa, rischia di creare grosse storture. Se è vero che chi acquista una barca da qualche milione di euro non può dichiarare sistematicamente redditi da “pensionato”, non è altrettanto vero che chi acquista una casa da 250.000 euro, sborsando in “contanti” 100.000 euro, debba dichiarare redditi da 100.000 euro.

Affermare questo significherebbe stravolgere la realtà e sottoporre a un ingiustificato sospetto il 90% dei contribuenti. A livello normativo, aveva più senso il vecchio redditometro che, quantomeno, legava il concetto di incremento patrimoniale a un quinquennio, rispetto all’attuale norma in cui tale assunto scompare completamente. È vero, la nuova norma non lo afferma, ma non lo nega neppure. Siamo però sicuri che sia così facile dimostrarlo nel caso in cui si ricada sotto la scure del “sintetico”? Siamo sicuri che la prova che i redditi derivano dal risparmio accumulato nel tempo sia così agevole? Io non ne sono affatto sicuro e l’esperienza me lo ha dimostrato.

Cari colleghi, non diamo per buoni assunti normativi che tali non sono. Diamo una mano a combattere l’evasione fiscale, ma impegniamoci anche a costruire e avallare strumenti di accertamento “giusti”. Se si avallano strumenti accertativi che partono da assunti errati (o comunque fortemente distorsivi) avremo sempre più difficoltà nel far emergere la verità, avremo Commissioni tributarie sempre più intasate, ma, soprattutto, avremo un Fisco sempre più ingiusto.


Federico Sarti
Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Prato

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