Accertamenti esecutivi e compromesso storico
Due settimane all’ora X: l’entrata in vigore degli accertamenti esecutivi.
Roba seria, quella; altro che i lustrini e gli strass tirati su alla bell’e meglio nell’ultima manovra.
Roba su cui, non a caso, si è consumato, in questo ultimo anno, un tira e molla non indifferente tra chi è istituzionalmente portato a vederla dal punto di vista delle ragioni del Fisco e chi è professionalmente portato a vederla dal punto di vista delle ragioni del contribuente.
Per i primi, la norma costituisce un tassello fondamentale di una lotta all’evasione che non sia fatta solo di grandi contestazioni, ma anche di grandi incassi.
Per i secondi, la norma costituisce un’inaccettabile elevazione a sistema di un sostanziale solve et repete, per effetto del quale, anche se il contribuente ricorre avanti alla giustizia tributaria (che deve essere terza e non “addomesticata”), deve intanto cominciare a pagare e soltanto dopo si vedrà chi ha ragione.
Come mai questa radicale diversità di vedute?
Una possibile ipotesi è che i primi siano i paladini del bene e i secondi i cattivi consiglieri del male; oppure che i primi siano statalisti assetati di sangue e i secondi virtuosi liberali ispirati dal più nobile spirito garantista.
Un’altra ipotesi, sicuramente più stimolante, è che ciascuno valuti i rischi e le opportunità della novità pensando alle patologie in cui si imbatte nella propria esperienza quotidiana.
Ecco allora che, forse, i primi difendono l’opportunità degli accertamenti esecutivi semplicemente perché pensano alle frodi e agli occultamenti di base imponibile più scostumati, spesso accompagnati da grande proattività nel rendersi velocemente insolventi di fronte alle pretese del Fisco.
Ed ecco anche che, forse, i secondi paventano i rischi di accertamenti esecutivi, con tempistiche assai più celeri di quelle con le quali la giustizia tributaria è in grado di dare risposte, semplicemente perché pensano alle frequenti situazioni in cui le contestazioni di evasione hanno una matrice tutta giuridica, nel senso che nascono da disconoscimenti della deducibilità di costi e oneri effettivi che il contribuente ha riportato in dichiarazione: si pensi, ad esempio, a questioni inerenti la competenza economica, a sindacati di economicità sui costi sostenuti, a riqualificazioni di spese di pubblicità in spese di rappresentanza e via discorrendo.
Invece di rimanere arroccati sulle proprie posizioni (peraltro entrambe condivisibili, dati i rispettivi punti di vista di partenza), giungendo a soluzioni rabberciate che depotenziano la norma rispetto all’opportunità di non dare tempo per strane mosse a chi froda e a chi occulta, ma che al tempo stesso la mantengono troppo penalizzante rispetto a chi si macchia di un’evasione “in dichiarazione” più di natura giuridica che di natura materiale, non sarebbe opportuno differenziare una volta per tutte le fattispecie, dando a ciascuno la sua giusta risposta?
Per l’evasione basata su contestazioni di “frode” e di “occultamento”, accertamenti esecutivi dopo sessanta giorni, come da previsione originaria.
Per l’evasione basata su contestazioni “di disconoscimento di costi e oneri effettivamente sostenuti e riportati in dichiarazione”, nessuna riscossione fino alla sentenza di primo grado, analogamente a quanto previsto per le contestazioni di elusione.
Una distinzione, quella tra evasione “da frode o occultamento” ed evasione “da disconoscimento” che sarebbe quantomai opportuna anche con riguardo alla recente novità della disapplicazione della sospensione condizionale della pena carceraria: troppo alta la franchigia di 3 milioni di euro per il primo tipo di evasori, assurdamente persecutoria e sostanzialmente vergognosa la previsione in se stessa per il secondo tipo di evasori.
Come si arriva a questo compromesso storico, capace, al tempo stesso, di inasprire la lotta alla vera evasione fiscale e di disinnescare derive di ingiustificata oppressione fiscale?
Anzitutto, riconoscendosi reciprocamente onestà intellettuale nel portare avanti posizioni che divergono non nella finalità, che per tutte le persone per bene rimane la medesima, ma soltanto nella diversa sensibilità nel cogliere per primi alcuni pericoli rispetto ad altri.
Dopodiché, lavorando gomito a gomito per tradurre in precetti normativi il risultato di una visione finalmente integrata e sinergica.
Questo sì che sarebbe uno di quei patti tra gli onesti di cui questo Paese ha bisogno.
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