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EDITORIALE

La beffa della spending review sulle Casse di previdenza

/ Enrico ZANETTI

Martedì, 4 dicembre 2012

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Le modalità, con le quali lo Stato pretende di applicare i decreti sulla spending review alle Casse di previdenza dei liberi professionisti, sono a dir poco vergognose.
Una vera e propria presa in giro di tutti i lavoratori iscritti a quelle gestioni previdenziali; per i più arrabbiati, ma forse anche più realisti, un vero e proprio furto legalizzato di Stato.

Sul piano giuridico, la vicenda ruota attorno alla qualificazione pubblicistica o privatistica di questi enti e ai riflessi della loro inclusione nell’elenco ISTAT delle Pubbliche Amministrazioni.
Tra ricorsi al TAR e al Consiglio di Stato, si rischia però di perdere di vista che la follia della cosa risiede tutta nel fatto che questi enti non sono inclusi nel bilancio dello Stato, né ricevono contributi pubblici.

Gli obiettivi della spending review, che sono quelli di consentire una riduzione della spesa pubblica e, conseguentemente, un miglioramento dei conti dello Stato, possono essere raggiunti imponendo tagli di spesa a entità i cui conti confluiscono nel bilancio dello Stato o che, pur non rientrandovi, ricevono contributi pubblici.
Nel primo caso, il beneficio è immediato; nel secondo caso, il beneficio può essere ottenuto prevedendo una riduzione della contribuzione pubblica a favore dell’ente in misura pari ai tagli di spesa imposti a quest’ultimo.
Quando però mancano entrambi i presupposti, è evidente che l’imposizione di tagli di spesa non può generare beneficio alcuno allo Stato; ed è anche logico, posto che, in questo caso, l’entità non è quindi finanziata nemmeno in parte con soldi dello Stato.

Ecco però il colpo di genio: si impongono ugualmente i tagli di spesa (giocando sulle questioni di lana caprina giuridica cui si è fatto cenno) e si prevede il loro riversamento, per pari importo, a favore dello Stato.
Zero beneficio per l’ente, zero per i lavoratori iscritti alla Cassa e clamorosa trasformazione di una misura formale di taglio di spesa in una sostanziale di ulteriore prelievo fiscale.
Nel caso, ad esempio, della Cassa dei dottori commercialisti, questa trasformazione di spese in tasse ammonta a circa 200.000 euro per quest’anno e a circa il doppio per il 2013 (si veda “Spending review, allo Stato 600 mila euro in due anni dalla Cassa Dottori” del 1° dicembre 2012).

A livello macro, non si tratta certo di grandi somme, ma è veramente increscioso doversi confrontare con uno Stato predone che non esita a inventarsi le più balzane forme di prelievo pur di raggranellare fino all’ultimo spicciolo possibile.
Il sistema delle Casse, riunito nell’Adepp, promette battaglia dura su questo fronte: fa bene e merita di essere sostenuto da tutti i lavoratori che lo alimentano con i loro contributi previdenziali e che sono, in ultima istanza, i taglieggiati finali da queste incommentabili misure.

Onestà intellettuale impone, però, anche due riflessioni all’indirizzo delle Casse.
La prima: questa sacrosanta belligeranza “senza se e senza ma” non trova pari riscontro nei modi, sempre molto felpati, con cui sono state portate avanti le interlocuzioni con i competenti Ministeri sul fronte delle meno recenti e più recenti riforme previdenziali finalizzate ad una maggiore equità per le più giovani generazioni.
In quei casi, i diktat e i limiti imposti dallo Stato sono stati spesso ribaltati dalle Casse sugli iscritti e sui sindacati giovanili come elementi non suscettibili di diversa contrattazione.
Non sarà così, ma sorge legittimo il dubbio che nelle Casse vi sia più determinazione nel difendere il proprio diritto di libertà di spesa che non il proprio dovere di creare condizioni di equità previdenziale, scontrandosi duramente e con parole forti, ove occorra, con istituzioni sorde e insensibili, oltre che sempre più rapaci.

La seconda: possibile che, se è lo Stato a imporlo, le Casse riescano a trovare il modo di tagliare del 5% e poi 10% i propri consumi intermedi e funzionare benissimo lo stesso, mentre, quando a chiedere risparmi di spesa sono i loro iscritti, sembra sempre che sia impossibile perché c’è già il massimo della virtù in campo?
La battaglia è condivisibile nella misura in cui mira ad impedire allo Stato di arraffare risparmi di spesa che devono invece essere reimpiegati nell’assistenza ai lavoratori.
Al netto di questo, se alle Casse viene imposto di fare qualche risparmio, si tratta di una circostanza che fa solo bene e sarebbe, anzi, tanto meglio se analoghe imposizioni riguardassero pure altre realtà, quali quelle del sistema ordinistico, che, pur non confluendo nel bilancio dello Stato e non ricevendo finanziamenti pubblici, si basano anch’esse su contributi che i loro iscritti devono versare per obbligo di legge.
(twitter @enrico_zanetti)

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