Costi deducibili anche se il cessionario «sapeva» della frode
I beni acquistati potrebbero non essere considerati come «direttamente utilizzati» per commettere il reato ma per essere commercializzati
Con due pronunce di ieri, la Cassazione è tornata ad occuparsi delle conseguenze fiscali derivanti dall’utilizzo di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, sia per quanto attiene alle imposte dirette che per quanto concerne l’IVA.
In particolare, con la sentenza 13800, i giudici di legittimità hanno affrontato la questione sotto il profilo della deducibilità dei costi relativi alle fatture soggettivamente inesistenti utilizzate da un cessionario inserito in una cosiddetta “frode carosello”. Il Fisco aveva recuperato a tassazione i costi dedotti, avvalendosi delle previgenti disposizioni in materia di costi da reato, ovvero dell’art. 14, comma 4-bis della legge 537/1993, come modificato dall’art. 2 della legge 289/2002, che, come noto, prevedeva
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