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OPINIONI

Per controllare la spesa sanitaria indispensabili le linee guida

La razionalizzazione della spesa richiede di limitare gli eccessi prescrittivi attraverso protocolli ministeriali

Venerdì, 16 ottobre 2015

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Pubblichiamo l’intervento di Umberto Veronesi.

Di recente si è molto discusso del decreto sull’inappropriatezza delle prescrizioni, che si propone di razionalizzare il ricorso a prestazioni sanitarie, limitando le richieste di esami inutili. Semplificando, il provvedimento impone ai medici di attenersi ad apposite linee guida nel prescrivere una serie di prestazioni (sono oltre 200), e di motivare invece eventuali scelte diverse.

Ancora si valutano gli aspetti più criticati, ovvero le sanzioni ai medici che violano le disposizioni e il timore da un lato di interferenze nell’autonomia professionale del medico, dall’altro di limitazioni al diritto di cura per il paziente. Come ogni provvedimento, è certamente perfettibile, ma penso che a questo decreto si possano riconoscere due importanti meriti.

Il primo è che è una buona risposta a un mondo che sta cambiando con rapidità. La medicina impiega tecnologie sempre più raffinate, efficaci e costose, mentre la domanda di cure cresce vertiginosamente, in parallelo con l’aumento dell’aspettativa di vita. Sappiamo con una certa precisione quanti anziani e quanti malati cronici avremo nei prossimi decenni, e le cifre fanno spavento.

In un sistema a risorse (necessariamente) limitate è da irresponsabili negare la necessità di razionalizzarne l’impiego. E, si badi bene, le risorse non sono solo il denaro pubblico, cioè il nostro, quello di ciascun contribuente, ma il tempo, gli spazi, la professionalità. Le lunghissime liste d’attesa per una Tac o un’ecografia sono un esempio lampante della questione. Sono davvero tutti necessari quegli esami? Succede che non lo siano sempre, che si impieghino risorse senza che nessuno si prenda l’onere di distinguere ciò che è utile, indicato e necessario da ciò che non lo è. E il prezzo viene pagato soprattutto dai più deboli, gli anziani, i malati cronici, i disabili. Il diritto alla salute – inalienabile e scolpito nella nostra Costituzione – non è “una Tac per tutti”, ma è una Tac in tempi accettabili per tutti coloro che ne hanno bisogno. È un equivoco pensare che l’equità di accesso alle risorse coincida con il “tutti accedano a tutto”.

Ma come distinguere, dunque? E a chi spetta il compito?
Non ci sono risposte facili. L’idea che mi sono fatto, nella mia lunga attività di medico e nell’esperienza da ministro della Salute, è che ci siano almeno tre presupposti imprescindibili: la formazione e l’aggiornamento dei medici per migliorare la correttezza delle diagnosi e ridurre il ricorso a accertamenti non necessari; la riorganizzazione degli ospedali nella direzione di cure di qualità; una programmazione a lungo termine nelle politiche sanitarie basata non sulla ricerca del consenso, ma su un’analisi scientifica e razionale dei cambiamenti sociali, economici e demografici che stiamo vivendo.

Il secondo merito del decreto per limitare gli eccessi prescrittivi è che pone un argine alla piaga della medicina difensiva, che davvero oggi opprime la professione e rischia di influenzare pesantemente non solo il rapporto con il paziente ma le stesse decisioni del medico.
Tutti vorremmo poterlo negare, ma accanto alle richieste di un assistito molti di noi intravedono lo spettro del tribunale: concedere una prestazione in più, nel dubbio, è un modo per tutelarsi e dimostrare che si è fatto tutto il possibile. Si tratta di un fenomeno che segue la naturale evoluzione della medicina, i nuovi orizzonti delle tecniche diagnostiche, l’empowerment del paziente che non subisce più passivamente le decisioni del curante.
In Italia il rischio di denuncia è ancora circoscritto rispetto ad altri sistemi sanitari, come quello statunitense, ma è in rapida crescita e va necessariamente controllato, se non si vuole una medicina che abdica al giuramento di Ippocrate perché schiacciata dalla paura di una denuncia per malpractice. In questo senso, proprio le norme imposte dal decreto possono essere uno scudo e giustificare, anche in sede di contenzioso legale, l’operato del medico.

La responsabilità della scelta di non prescrivere un dato esame risulterebbe così non solo in capo al singolo professionista, ma sarebbe condivisa e sostenuta dalle linee guida ministeriali, che non solo indirizzano il medico ma anzi lo sanzionano se agisce in modo difforme. Non so se davvero verranno stabilite e comminate sanzioni ai medici inadempienti e, certo, non è consolante pensare a denunce o punizioni ministeriali mentre si guarda negli occhi un proprio assistito. Ma se applicate con correttezza e competenza penso che le nuove norme siano una buona risposta a problemi reali, uno strumento utile per tutti, per i medici del nostro sistema sanitario, che nonostante tutto mantengono un altissimo livello di qualità, e per i pazienti che hanno il diritto di confrontarsi con chi davvero ha a cuore la loro salute.

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