Noi autonomi non abbiamo bisogno della telecamera
Se vai dal benzinaio, chiedi 40 euro di carburante e lui te ne dà 39,50, non si dice che te li ha dati quasi tutti, si dice che è un ladro.
Allo stesso modo, se ordini al panettiere 10 pagnottine e lui te ne dà nove buone e una bruciata, non pensi che sia un panettiere che ha praticamente fatto il suo dovere, ma pensi che sia un cane di panettiere.
In caso di inadempimento, per i lavoratori autonomi la punizione, cioè il licenziamento, scatta immediata, perché il cliente non andrà più da quel benzinaio e da quel panettiere. Aver fatto 1 milione di pagnottine magnifiche non dà nessun diritto di fare male la successiva. Per un lavoratore autonomo c’è solo un modo per fare le cose: perfette e ad un prezzo congruo, sempre e comunque. È il mercato con la sua ferocia che fa da telecamera, da badge, da controllore, che dà o toglie il lavoro, ogni giorno, tutti i giorni, a volte senza preavviso.
Ogni lavoratore autonomo quando si sveglia al mattino ha soltanto due alternative: rimanere a dormire oppure alzarsi e andare a lavorare. Niente badge da usare in mutande, niente cause esimenti, niente certificati medici, niente ricorsi al TAR, niente diritti acquisiti, niente reintegri.
Se sceglie di andare a lavorare cominciano i guai. Appena fa tanto di fare qualcosa, immediatamente si presentano al suo tavolo l’Erario, l’INPS, l’INAIL, la Camera di commercio, chi più ne ha più ne metta. Tutti pronti a prendere con ferocia la loro parte: “Caro lavoratore autonomo, hai scelto di lavorare quindi devi pagare”.
Ma anche se sceglie di rimanere a dormire, magari perché malato, oltre a non percepire alcun reddito va incontro a qualche guaio. Già, perché, se una persona sceglie di fare l’idraulico, una produttività minima, e quindi un gettito minimo, li deve garantire alla collettività. Lo studio di settore gli richiederà un ricavo minimo e quindi un imponibile e quindi un certo livello di tassazione.
Lo Stato però, una volta che è riuscito a prenderti i soldi, poi non mostra tutta questa precisione maniacale nel controllare la spesa. Ecco che i proventi delle imposte possono finire tranquillamente in acquisti di mutande colorate, a pagare pensioni d’oro a chi non ha versato i contributi, a pagare stipendi a dipendenti come quelli del Comune di Sanremo. Tutto questo non è normalmente un problema per nessuno, salvo poi suscitare un gran polverone quando parte un’inchiesta.
Il tema vero però è la quotidianità. In uno studio o un’azienda normale basta che manchi una persona perché l’attività ne risenta. Non serve che ne manchino 10 per creare un disservizio, basta uno. Come può essere che in un ente pubblico manchino metà delle risorse e che nessun dirigente, nessun funzionario, nessun collega, nessun amministratore se ne accorga? Perché non si chiede mai a quelli che devono controllare, gestire, organizzare un servizio pubblico, di fronte a vicende eclatanti come quella di Sanremo, di restituire almeno 10 euro, magari in contanti, davanti alle telecamere accese? È del tutto evidente che hanno percepito stipendi e, immancabilmente, preso premi senza fare nulla, se possono accadere cose come quelle che abbiamo visto.
Siccome però esiste una giustizia cosmica, non è casuale che la vicenda dei dipendenti del Comune di Sanremo sia venuta fuori in concomitanza con il gran polverone sollevato per l’elevamento della soglia per l’utilizzo dei contanti da 1.000 a 3.000 euro. Fa quasi tenerezza l’immagine di un’opinione pubblica che si preoccupa in questo modo dell’uso dei contanti e contemporaneamente tollera pacificamente che i soldi delle imposte di tutti finiscano a stipendiare soggetti del genere. Sarebbe logico, almeno tanto quanto siamo tutti pronti a stracciarci le vesti per l’innalzamento della soglia dell’uso dei contanti, stracciare qualche fazzoletto per pretendere che ci sia un controllo minimo, minimissimo, per vedere che fine fanno i nostri soldi versati come imposte.
Tuttavia quello che dà da pensare è soprattutto la superficialità con cui si affrontano le cose.
Abbiamo già avuto modo di osservare che l’assenza di contante determinerebbe una sostanziale sparizione della criminalità: difficile comprare droga col bancomat o pagare il riscatto di sequestri di persona con assegni circolari.
Allo stesso modo, poiché la maggior parte dei furti avviene di notte, proibire a tutti di uscire di casa dopo le sette di sera ridurrebbe drasticamente i furti negli appartamenti.
Ancora, esiste in Italia il limite massimo di velocità di 130 chilometri all’ora. Perché quindi quasi tutti i modelli di auto e moto possono superare quella velocità, in alcuni casi anche del doppio? Consentire la commercializzazione soltanto di vetture con velocità massima di 130 chilometri orari permetterebbe di ottenere immediatamente il rispetto del limite su tutta la rete autostradale e dall’altra di risparmiare tutti gli armamenti che vengono installati e i controlli che vengono fatti ogni giorno. Allo stesso modo è del tutto evidente che, limitando a zero ogni attività umana, si otterrebbe anche un enorme effetto benefico sull’ambiente e sull’inquinamento.
Tutto ciò ovviamente non ha senso e non è praticabile.
In contesti dove si ragiona con un minimo di equilibrio, contemperando le esigenze di tutti, non si accetta di colpire la generalità delle persone per punire la devianza di alcuni soggetti. Insisto con la metafora: potremmo mai lasciare che il sindaco una volta l’anno recapiti una multa per divieto di sosta a tutti i suoi cittadini, con la motivazione che almeno una volta la macchina in divieto l’hanno lasciata tutti? Dove si affrontano le cose in modo normale, si contemperano sempre i sacrifici che sono richiesti alla collettività a fronte dei benefici prodotti da un provvedimento.
Questo non accade però in ambito fiscale. Sull’altare della lotta all’evasione fiscale si sacrifica qualsiasi cosa, senza mai verificare, dati alla mano, la bontà di una iniziativa. Chissà se sarà mai possibile disporre di qualche dato per vedere se da quando è stata portata la limitazione all’uso del contante a 1.000 euro si è prodotto qualche beneficio tangibile in termini di entità dell’evasione.
Ovviamente non disporremo mai di alcun dato attendibile, perché a una certa prosopopea fa troppo comodo poter continuare a dire che l’evasione fiscale è enorme. Qualsiasi tassa e qualsiasi provvedimento alla fine ci stanno, perché nel più sta il meno, tanto qualcosa avranno evaso e quindi per quanti gliene prendi, o gliene accerti, è sempre meno di quello che avrebbero dovuto pagare.
Sono pronto a scommettere che limiti differenti all’uso del contante, almeno rimanendo nell’ambito di soglie fino a 5.000 euro, non hanno praticamente nessun effetto sulla riduzione dell’evasione. Chi lavora in nero continua a farlo. Certamente avrà un po’ più di difficoltà a spenderlo e quindi dovrà tenerlo nella scatola delle scarpe un po’ di più.
Per contro, l’effetto depressivo sui consumi credo sia rilevante e perfettamente misurabile. In primo luogo sugli acquisti da parte di turisti stranieri, che presumo molto malvolentieri si sottopongano a tutta la procedura prevista per l’acquisto in contanti oltre soglia. In secondo luogo, per il fatto che obbligare gli evasori a tenere i soldi nella scatola delle scarpe significa sottrarre una massa di denaro alla circolazione legale e quindi far sì che l’effetto dell’evasione sia doppiamente grave: perché è evasione e perché quel denaro viene più lentamente immesso nel circuito legale o, peggio, diretto verso consumi all’estero in santa pace.
Non sfugge a nessuno che, se il nostro evasore si comprasse una borsa in Italia, o un frigorifero, se non altro pagherebbe l’IVA e quindi una parte di quell’evasione, rientrando nel circuito legale, rientrerebbe nelle casse dello Stato. Una specie di voluntary implicita e automatica. Ma tutto questo suona come una sorta di legittimazione dell’evasione fiscale e quindi non si può dire e quindi non lo diciamo.
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