Con un Indice sintetico del rischio, scelte dei risparmiatori razionali
Dopo l’ultimo caso di salvataggio delle banche c’è da chiedersi se il sistema normativo sia in grado di prevenire fatti di questa portata
Sul salvataggio delle quattro banche territoriali le opinioni riversate sui media sono le più disparate ed è difficile formarsene una propria, che non cada vittima di luoghi comuni o di generico revanscismo. Come esercizio di libera comprensione si può provare a mettere a fuoco alcuni punti.
Per esempio, si è levato alto lo strepito contro l’iniquità delle nuove regole eurounitarie, che dal 1° gennaio 2016 impediranno i salvataggi con denaro pubblico (bail-out) delle banche in crisi, dopo che i Paesi forti (Germania e Francia), ma anche Spagna e Olanda, hanno sostenuto con enormi capitali pubblici il proprio sistema bancario, molto più compromesso – si è detto – di quello italiano, sostanzialmente sano. Intanto, c’è da chiedersi fino a che punto sia ancora vera questa vulgata, dopo la vicenda MPS (per inciso, salvato con soldi pubblici), delle quattro banche oggi tristemente alla ribalta e di molte altre più piccole in passato.
Soprattutto, non si può (fingere di) menare scandalo per l’introduzione di una regola nuova, non perché cattiva – vi è, infatti, larga condivisione, in linea di principio, che sia inappropriato che la fiscalità generale si accolli le perdite di privati, e si tratta di regola approvata dal Parlamento italiano a larghissima maggioranza – ma perché non conveniente nella contingenza. Sarebbe come riconoscere ai Paesi emergenti il diritto di inquinare per il futuro tanto quanto, molto colpevolmente, hanno fatto in passato i Paesi ricchi (e l’accordo di Parigi non lo ammette).
Se, poi, è comprensibile socialmente – oltre che elettoralmente – che in qualche modo (ancora poco chiaro) il Governo manifesti l’intenzione di trovare una soluzione per coloro, o almeno alcuni di loro, che dalla sera alla mattina hanno visto bruciati i loro risparmi, stride come un gesso sulla lavagna che si parli di “aiuto umanitario”; espressione che ha valenza semantica da sempre, e giustamente, abbinata a ben altre tragedie, dalla diaspora di profughi e rifugiati alle carestie che falcidiano intere popolazioni.
Se, inoltre, infastidisce la demagogia che pure si è fatta sulla vicenda, è vero, però, che la sua gravità è esemplare.
Secondo i dati di Banca d’Italia, tutte insieme le quattro banche rappresentano appena l’1% della raccolta complessiva del sistema bancario nazionale. La cifra non dà, però, la misura dello scandalo.
Si proclama che verranno chiarite responsabilità individuali ed eventualmente istituzionali, comprese quelle degli sperperi, dei finanziamenti di favore e dei ricchi emolumenti che sembra vi siano stati, del resto nel solco della “migliore” tradizione nostrana del clientelismo politico-finanziario delle banche locali (anche se, magari, quotate in borsa). Ma il punto che qui interessa non è tanto perché queste banche sono “fallite”. È perché vi sono rimasti invischiati così tanti risparmiatori (ma anche imprese) e così pesantemente (almeno in molti casi).
È stato detto da un alto esponente del Governo che “mal gliene incolse” a quei risparmiatori che si sono fatti abbindolare da remunerazioni fuori mercato. Ma la questione va posta in maniera un po’ diversa, in primo luogo perché non è automatico che il cliente retail sia in grado di associare alto interesse ad alto rischio. Certo, questo dovrebbe essere patrimonio minimale di qualsiasi, anche infimo, investitore. E altrettanto vale per la diversificazione nell’impiego dei risparmi. Ma il deserto di educazione finanziaria di base in cui versa il Paese rende vieppiù ragione della necessità che le banche adempiano con completezza, trasparenza ed onestà al loro mandato informativo e consulenziale ed evitino conflitti di interesse, pre-requisiti essenziali di qualsiasi negoziazione che pare siano invece mancati nel caso.
Eppure la normativa primaria e secondaria è assolutamente chiara e cogente.
Due fondamentali must dell’art. 21 TUF sono l’obbligo per gli intermediari di: “a) comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza, per servire al meglio l’interesse dei clienti e per l’integrità dei mercati; b) acquisire le informazioni necessarie dai clienti e operare in modo che essi siano sempre adeguatamente informati”. Questo, tra l’altro, significa che il cliente va informato anche nel corso del rapporto di un mutamento significativo degli obiettivi d’investimento raggiungibili rispetto al portafoglio.
L’art. 31 del regolamento Consob n. 16190/2007 chiosa: “gli intermediari forniscono ai clienti o potenziali clienti una descrizione generale della natura e dei rischi degli strumenti finanziari trattati, tenendo conto in particolare della classificazione del cliente come cliente al dettaglio o cliente professionale. La descrizione illustra le caratteristiche del tipo specifico di strumento interessato, nonché i rischi propri di tale tipo di strumento, in modo sufficientemente dettagliato da consentire al cliente di adottare decisioni di investimento informate”.
Per il successivo art. 40 gli intermediari devono assicurare che la specifica operazione “soddisfi i seguenti criteri: a) corrisponda agli obiettivi di investimento del cliente; b) sia di natura tale che il cliente sia finanziariamente in grado di sopportare qualsiasi rischio connesso all’investimento compatibilmente con i suoi obiettivi di investimento; c) sia di natura tale per cui il cliente possieda la necessaria esperienza e conoscenza per comprendere i rischi inerenti all’operazione o alla gestione del suo portafoglio” (come più specificamente ribadito dal successivo art. 42).
Si badi, peraltro, che informare non vuol dire subissare il risparmiatore con interminabili prospetti informativi che, ovviamente, nessuno legge, e comunque perlopiù non sarebbe in grado di valutare. L’immagine icastica utilizzata da Marco Onado della mappa di Borges, tanto dettagliata quanto inutile, ben si attaglia alla prassi ed a una normativa nazionale e eurounitaria, che per questo motivo ha attirato in passato le critiche competenti di un Renato Rordorf (Presidente di Sezione della Cassazione), e che probabilmente sarebbero indigeste al palato fine e indipendente di un economista quale fu Federico Caffè, nemico in epoca non sospetta di certo burocratismo delle Istituzioni europee. È un po’ come per i “bugiardini” dei medicinali, con i loro elenchi di effetti collaterali anche i più remoti e letali, tali che chi li prendesse sul serio si guarderebbe bene dal curarsi.
Quando, invece, basterebbe completare i prospetti con un realistico Indice Sintetico di Rischio, che metta i risparmiatori in condizione di compiere una scelta razionale, perché consapevole.
Ultima riflessione. Ogni volta che accadono sconquassi finanziari di questo genere (come si fa a non ricordare i casi clamorosi di Cirio e Parmalat?) si piange e si strepita sul latte versato. Ma per l’ennesima volta c’è da chiedersi con Zingales (che auspica un’azione risarcitoria anche verso soggetti istituzionali) e molti altri, se il sistema normativo e istituzionale sia realmente in grado in linea di principio e di fatto di prevenire deragliamenti di questa portata. Questo è il quesito a cui oggi, più che mai, occorre dare una risposta solerte e determinata.
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