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LETTERE

Specializzare e diversificare sì, ma solo dopo aver chiarito chi siamo

Martedì, 27 dicembre 2016

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Gentile Direttore,
in questi ultimi tempi, più che mai, si sente affermare da più parti che il buon commercialista è chi “diversifica le sue attività”, concetto spesso “mascherato” dalla fantomatica “specializzazione”.

In tutti i convegni ai quali ho avuto modo di assistere, quanto mai affollati in questo periodo per l’effetto scadenza triennio crediti formativi, ho avuto modo di sentire sul punto vari relatori articolare soluzioni nel merito e, al tempo stesso, platee di colleghi presi da sensazioni varie, innanzitutto l’affascinamento delle proposte, ma soprattutto l’incertezza del futuro.
Da uditore ho apprezzato l’impegno del relatore di turno, da relatore ho manifestato il mio ben diverso punto di vista e, quindi, la mia distanza da queste tesi.

La motivazione sostanziale? Siamo dottori commercialisti, non “semplici” consulenti d’impresa come pressoché tutti ci vorrebbero far diventare.
Che differenza fa, mi chiedono tanti colleghi apertamente o con i loro sguardi disorientati?
Molto semplice: come dottori commercialisti siamo impegnati in una professione disciplinata da norme, coinvolti con precise responsabilità da altre norme, vincolati a principi etici. I consulenti d’impresa, di regola, direi certamente di no.

Non voglio ricordare in questa sede che è “Dottore Commercialista” chi ha superato un certo percorso, chi in conseguenza si sottopone a norme ordinistiche e di legge e quindi, tra l’altro, versa i contributi previdenziali obbligatori e, perché no, “corre” per adempiere a percorsi formativi sì, ma di aggiornamento “obbligatorio” a pena di sospensione dall’albo.
Invece, il consulente d’impresa chi è? Tutti e nessuno: nessun titolo obbligatorio, pressoché nessuna norma che vincoli a specifiche regole e responsabilità.

Allora vengo al punto: se non si fissano regole chiare per gli ambiti, che senso ha essere “dottore commercialista” quando per essere “consulente d’impresa” basta molto meno impegno e si gode di vincoli certamente minori, per non dire inesistenti?

Allora, per immaginare un futuro vero e concreto della professione ripartiamo dalle regole e, piaccia o no, dalle esclusive professionali vere e dalle tariffe vere (ops, perdonate... proprio non mi entra in testa che li dobbiamo chiamare “parametri”...).
E che non mi si dica che da tempo c’è la liberalizzazione!
Non riesco difatti a comprendere quale sia la differenza istituzionale tra noi e altre professioni analogamente regolamentate, innanzitutto gli avvocati, ben fermi su questi punti in ragione di una riconosciuta funzione pubblica, non so quanto legittimamente diversa da noi dottori commercialisti.

Allora, iniziamo a vedere concretamente, come dottori commercialisti, chi siamo per quella legge che ci vede iscritti in un albo professionale, con tutto ciò che ne è venuto prima e ne consegue tutti i giorni, che ci chiama a precise responsabilità e impegni di legge, tantissimi che ci vengono delegati dallo Stato.
Soltanto dopo aver definito il chiaro quadro di riferimento sarà giusto parlare di specializzazioni o meglio di diversificazione.


Gianni Tomo
Presidente della Commissione Marketing Studi Professionali ODCEC Napoli

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