La legge non richiede l’atto scritto per il licenziamento del dipendente in prova
Il licenziamento del lavoratore in prova non è soggetto alla prescrizione della necessaria forma scritta, prevista in generale dall’art. 2 della L. 604/1966 per il recesso da parte del datore di lavoro.
Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 29753 depositata ieri, osservando che l’art. 10 della L. 604/1966 – posto a base di tale assunto secondo un’interpretazione giudicata costituzionalmente legittima dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 541/2000 – prevede che le garanzie di cui alla stessa legge per il caso di licenziamento si applichino ai lavoratori in prova soltanto dal momento in cui l’assunzione diventi definitiva e, in ogni caso, quando siano decorsi sei mesi dall’inizio del rapporto di lavoro.
La Suprema Corte ha, inoltre, richiamato l’orientamento secondo cui, nelle ipotesi in cui la forma scritta del recesso durante il periodo di prova sia prevista dal contratto individuale di lavoro, tale requisito debba considerarsi rispettato – in assenza della previsione di modalità specifiche – in virtù dell’utilizzo di qualunque modalità che comporti la trasmissione al destinatario del documento scritto nella sua materialità.
Alla luce di ciò, con riferimento al caso di specie, si è ritenuto che il requisito formale di cui si tratta, richiesto dal contratto di assunzione, fosse stato soddisfatto, avendo la Corte di merito accertato sia la trasmissione dell’atto di licenziamento da parte del datore di lavoro con comunicazione via mail, sia la ricezione, da parte del dipendente, di tale comunicazione prima della scadenza della prova, come dimostrato, tra l’altro, dal contenuto delle successive mail inviate dallo stesso lavoratore ai colleghi, nelle quali li informava della cessazione del rapporto di lavoro.
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