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Non c’è appropriazione indebita nel caso di pagamento integrale alla capogruppo fallita di ATI

/ REDAZIONE

Giovedì, 14 dicembre 2017

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La Cassazione n. 55435/2017 ha stabilito che, a fronte del fallimento della capogruppo di un’associazione temporanea di impresa (ATI) tra due società, sebbene il mandato conferito alla capogruppo debba reputarsi sciolto in ragione del fallimento, e sebbene, di conseguenza, la curatela non sia legittimata a riscuotere l’intero importo delle somme correlate ai lavori eseguiti dall’ATI, deve escludersi che il pagamento integrale effettuato alla capogruppo (nella specie ad opera di un Comune che aveva appaltato alcuni lavori) possa configurare la fattispecie di appropriazione indebita (art. 646 c.p.), dovendosi invece verificare l’esistenza un mero inadempimento contrattuale.

È esclusa, infatti, una “ritenzione” di denaro successivamente versato a soggetto diverso dall’avente diritto. In particolare, non è configurabile alcun “abuso” del denaro che, ancorché giuridicamente proprio, conservi, tuttavia, una individuata e specifica destinazione che lo renda non disponibile per colui che lo detenga (cfr. Cass. SS.UU. n. 37954/2011, che ha escluso l’appropriazione indebita in capo a chi non adempia obbligazioni pecuniarie cui dovrebbe far fronte con quote del proprio patrimonio non conferite o vincolate a tale scopo).

In pratica, non potendosi configurare alcun “vincolo” in favore dell’altra società componente dell’ATI, il denaro in questione deve ritenersi rimasto in proprietà del Comune, con le conseguenze che ne scaturiscono in ordine alla sussistenza del reato di cui all’art. 646 c.p.; che, si ricorda, dal punto di vista dell’elemento soggettivo richiede la coscienza e volontà di appropriarsi di denaro o altra cosa mobile altrui, posseduta a qualsiasi titolo, sapendo di agire senza averne titolo e allo scopo di trarre per sé o per altri una qualsiasi illegittima utilità.

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