La speciale tenuità è legata alla diminuzione globale e non percentuale della massa attiva
Ai sensi dell’art. 219 comma 3 del RD 267/1942, nel caso in cui i fatti di bancarotta o di ricorso abusivo al credito abbiano cagionato un danno patrimoniale di speciale tenuità, le pene sono ridotte fino al terzo.
Tale circostanza attenuante, precisa la sentenza della Cassazione n. 8997 depositata ieri, è configurabile quando il danno arrecato ai creditori è particolarmente tenue o manca del tutto. Con una valutazione rimessa al giudice che non può limitarsi alla considerazione degli importi delle somme non registrate nelle scritture contabili, ma deve estendersi alle dimensioni dell’impresa, al movimento degli affari, all’ammontare dell’attivo e del passivo, nonché all’incidenza che la condotta illecita ha avuto sul danno derivato alla massa dei creditori (cfr. Cass. n. 20695/2016).
In particolare, il giudizio relativo alla particolare tenuità del fatto deve essere posto in relazione alla diminuzione globale (e non percentuale) che il comportamento del fallito ha provocato alla massa attiva che sarebbe stata disponibile per il riparto, ove non si fossero verificati gli illeciti.
Per escludere la circostanza attenuante in questione, quindi, non è necessario che l’entità dell’attivo sia interamente e dettagliatamente ricostruita, ma è sufficiente la distrazione di beni di rilevante entità, idonea, di per sé, ad incidere, in misura consistente, sul riparto (cfr. Cass. n. 13285/2013).
A fronte di ciò, il mancato rinvenimento di merci per 14.000 euro ed un ingiustificato prelievo dalle casse sociale per circa 8.500 euro non possono certo essere definite condotte di lieve entità.
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