Occultamento e omessa tenuta della contabilità equiparate nella bancarotta documentale
La Cassazione, nella sentenza n. 9921/2018, ricorda come in tema di bancarotta fraudolenta documentale sia stato a lungo orientamento costante della giurisprudenza di legittimità quello secondo cui, ai fini della configurabilità del delitto, devono ritenersi condotte equivalenti la distruzione, l’occultamento o la mancata consegna al curatore della documentazione e l’omessa o irregolare o incompleta tenuta delle scritture contabili.
Pertanto, per la sussistenza del reato è sufficiente l’accertamento di una di esse e la presenza in capo all’imprenditore dello scopo di recare pregiudizio ai creditori e di rendere impossibile la ricostruzione del movimento degli affari.
Non avrebbe rilievo, infatti, che la formula letterale della norma, con il riferimento alla “tenuta” dei libri contabili in guisa da non rendere possibile la ricostruzione della contabilità, alluda a un’azione positiva di tenuta irregolare, poiché detta ipotesi è da estendersi necessariamente a quella di omessa tenuta, al pari della totale distruzione o della sottrazione, essendo evidente che, in presenza del fine di recare pregiudizio ai creditori, la tenuta irregolare impone l’accertamento della effettiva impossibilità di ricostruzione delle operazioni dell’impresa, laddove la omessa tenuta (e, ovviamente, a maggior ragione la distruzione o la sottrazione) importa di per sé, oggettivamente, quella impossibilità.
Anche la Cassazione n. 18634/2017, con una pronuncia più attenta all’oggettività giuridica dei differenti contenuti normativi della disposizione di cui all’art. 216 comma 1 lett. b) L. fall., equipara senza dubbio “occultamento delle scritture contabili” e loro “omessa tenuta”, pur affermando, contrariamente a quanto tradizionalmente sostenuto, una netta distinzione tra la diade “occultamento-omessa tenuta” delle scritture contabili, da un lato, e fraudolenta tenuta di tali scritture, dall’altro, che integra una fattispecie autonoma e alternativa in seno all’art. 216 comma 1 lett. b) L. fall., non connotata dal dolo specifico di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori, ma dal dolo intenzionale.
In particolare, per le ipotesi di irregolare tenuta della contabilità, caratterizzate dalla tenuta delle scritture “in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari”, la finalità dell’agente è riferita a un elemento costitutivo della stessa fattispecie oggettiva, ovvero l’impossibilità di ricostruire il patrimonio e gli affari dell’impresa, anziché a un elemento ulteriore, non necessario per la consumazione del reato, qual è il pregiudizio per i creditori.
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