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È nulla l’offerta di ricollocazione in part time

/ REDAZIONE

Venerdì, 27 aprile 2018

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L’accordo con cui datore di lavoro e sindacati definiscono le regole della procedura di mobilità non può consentire implicitamente una modifica del regime dell’orario di lavoro del dipendente. Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 10142, depositata ieri.

Nella specie, l’accordo sindacale individuava il criterio di scelta dei lavoratori in esubero nella mancata accettazione di proposte aziendali di ricollocazione. L’alternativa occupazionale offerta alla lavoratrice comportava il passaggio da regime part time a quello full time. Al rifiuto, da parte della lavoratrice, della nuova collocazione aziendale, era conseguito il recesso della società nell’ambito del licenziamento collettivo.

La Cassazione ha ritenuto il licenziamento illegittimo perché conseguito ad una offerta di ricollocazione in realtà nulla.
In particolare la Suprema Corte ha affermato che “l’offerta di una prestazione che incida sulla durata della prestazione è nulla perché … determina una modifica unilaterale del regime di part time vietata dalla legge”.

Secondo la Cassazione, infatti, la variazione del monte ore pattuito, in aumento o in diminuzione, necessita sempre del consenso scritto del lavoratore. Tale regola è stata ritenuta inderogabile anche nel caso in cui un contratto collettivo aziendale preveda il mutamento del regime orario a part time come strumento alternativo alla collocazione in mobilità.

In applicazione della disciplina sul part time (DLgs. 61/2000 all’epoca dei fatti di causa, poi sostituita dagli artt. 4 e ss. del DLgs. 81/2015), è stato altresì sempre ritenuto che il rifiuto del lavoratore alla trasformazione del rapporto non costituisca giustificato motivo di licenziamento.

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