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LETTERE

Nel Rapporto 2018 della FNC dati allarmanti da cui ripartire

Lunedì, 23 luglio 2018

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Gentile Redazione,
i dati che emergono dall’annuale Rapporto edito dalla nostra Fondazione risultano sempre più allarmanti, con una ricorrenza che induce a pensare che con questo ritmo il pericolo maggiore possa essere quello dell’assuefazione e dunque dell’indifferenza.

Parlo, naturalmente, di un’indifferenza collettiva, di categoria, poiché quella individuale è purtroppo ben sentita in funzione dell’essere posizionati sotto o sopra una certa soglia di benessere. L’allarme, infatti, è certamente percepito da almeno la metà dei nostri iscritti, il cui reddito IRPEF, si scopre, sfiora quello di un comune impiegato di medio livello se non, in alcune Regioni, quello di un precario di call center.

Ancora una volta il Rapporto, dunque, sia pure asetticamente, ci mette di fronte a una realtà che dice che intendere ancora la nostra attività quale “professione” – secondo l’accezione tramandataci da nonni e padri – rappresenta un eufemismo.
Ai già trattati temi del venir meno dell’autorevolezza, della mancanza di rappresentanza nell’ambito della società e della politica, dei gratuiti atti di discredito e colpevolizzazione da parte di alcuni poteri dello Stato, non è ultimo aggiungere la gravissima situazione reddituale in cui versa la categoria o, certamente, la metà di essa.

Come più volte correttamente sottolineato dallo stesso Presidente Miani, il dato da prendere in considerazione per testare lo stato di salute dei nostri Colleghi è quello mediano, evitando le medie che già il buon Trilussa rifiutava ai tempi del famoso pollo.
Ebbene, se è vero (e lo è) che il dato reddituale mediano dichiarato, nel 2017 per il 2016, dai 94.455 iscritti alle Casse è stato di 33.093 euro, viene facile comprendere che sotto quella cifra ci stanno quasi 50.000 Colleghi. Per dirla in termini più terra terra: metà degli iscritti ha portato a casa poco più di 2.000 euro netti al mese! Ma non saremmo in Italia se il dato fosse omogeneo a livello geografico. Pensate al Sud di chi scrive. Qui il dato mediano è stato di 16.857 euro: 1.000 euro netti al mese per più di duemila iscritti!

Può essere considerata ancora “professione”, questa?
Cosa fare, si dirà. Non credo che la situazione non sia monitorata dai nostri vertici, ma non vorrei che mentre la nostra nave affonda (la sera del 14 aprile i passeggeri del Titanic ballavano...) ci si occupi troppo di questioni statutarie e di poltrone, dimenticando magari la grande sofferenza espressa dai numeri del Rapporto 2018.

Quello che a mio avviso ridarebbe vigore è un progetto nuovo sia per la professione e sia per la categoria. Un progetto elaborato e guidato dal Consiglio nazionale proprio ora che siamo all’alba di importanti adempimenti.
Penso, ad esempio, a una maxi aggregazione, capace di creare economie di scala sul versante dei costi e migliorare le performance su quello degli onorari. In fondo, un marchio, un brand, un’etichetta potremmo costruircela anche noi e affrontare il mercato più tranquilli, più uniti, più soddisfatti.

Ma, certamente, si può pensare ad altro.
Quello che non si può dimenticare, invece, è che 50.000 iscritti non possono e non meritano di essere lasciati alla deriva.


Antonio Bevacqua
Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Catanzaro

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