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EDITORIALE

Prima che sia davvero troppo tardi

/ Giancarlo ALLIONE

Lunedì, 1 ottobre 2018

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Non è passato molto tempo da quando ispezionavamo con adeguato supporto mediatico esercizi commerciali e vacanzieri di Cortina e Porto Cervo. Il rischio di dirottare altrove turisti e yacht non era un problema.

Il fatto che ormai da molti anni la guerra fra stati non si combatta più conquistando territori, ma conquistando le imprese, o meglio i loro profitti, non sembra aver mai interessato molto i nostri governanti. Oggi le cose sembrano un po’ più evidenti. Nel dicembre scorso gli Usa hanno approvato tagli alle tasse per 1.500 miliardi di dollari in 10 anni e ridotto l’aliquota per le imprese dal 35% al 21%. In Olanda si procederà ad abolire la tassa, oggi del 15%, sui dividendi delle società, Macron ha appena annunciato che diminuiranno di 6 miliardi di euro le tasse sulle famiglie, mentre quelle sulle imprese scenderanno di 18,8 miliardi.
In umiltà, a noi questo processo era chiaro da molto tempo. Ne abbiamo voluto discutere con esponenti autorevoli di diversi settori nell’ambito del convegno Fisco & Futuro, al quale invero nessun membro del Governo ha potuto partecipare, con la speranza che possano cominciare a capirlo anche i tassatori e gli agitatori di manette più agguerriti.

Sono stato giovane in un momento storico in cui trionfava l’utopia universalistica: essere nati di qua o di là di una certa riga tracciata su una carta geografica sembrava del tutto irrilevante, ma la forza di gravità della realtà è implacabile e, soprattutto, presenta sempre il conto. Stolto e inutile quindi, e per questo molto pericoloso, fare finta che la realtà non esista.
E la realtà è rappresentata dal fatto che esistono dei limiti fisici per tutte le cose, anzi spesso sono i limiti a dare senso alle cose o addirittura a permettere che esistano.
Cosa sarebbe una partita di calcio o di tennis senza le linee che delimitano il campo?

Il nostro vivere civile si basa sull’implicito patto in forza del quale la popolazione attiva (quella che quotidianamente produce risorse) è disposta a destinare una parte di quello che produce per soddisfare determinati bisogni “primari” di tutta la collettività (sicurezza, salute, istruzione) indipendentemente dal fatto che questo o quell’individuo possano permetterseli. In alcuni paesi, come l’Italia, si è andati pure oltre, arrivando a considerare diritto primario anche il reddito e quindi a garantirlo per tutta la vita ad un certo numero di soggetti che hanno lavorato per poco o pochissimo tempo (es. percettori di vitalizi e pensionati che non hanno versato contributi proporzionati alla pensione che ricevono).
Sembrando questa un’ingiustizia, si vorrebbe ora garantire un reddito a tutti, anche a coloro che, per colpa o per destino, non hanno lavorato affatto.

Purtroppo però, dietro alla convenzione del patto sociale c’è una tanto prosaica quanto ineludibile frazione: al numeratore ci sono le risorse, al denominatore ci sono le persone che hanno titolo per reclamare quei servizi. Sarebbe bello che il perimetro di questa operazione fosse il mondo, ma non è così. Le comunità nazionali sono sempre meno disposte a condividere le loro risorse (prima qualcuno … è il nuovo mantra), e questo ha una sua logica. In una frazione al crescere del denominatore, a numeratore fisso o decrescente, il risultato tende a zero.
Chiunque abbia a cuore il risultato della frazione dovrà dunque preoccuparsi che risorse disponibili e richieste “di diritti” crescano in modo armonico, cercando di incrementare le prime e provando a contenere entro limiti ragionevoli le seconde, senza indurre false speranze o incoraggiare atteggiamenti parassitari.
Incrementare o almeno conservare le risorse disponibili vuol dire creare condizioni favorevoli per coloro che la ricchezza la producono e in definitiva per coloro che, per privilegio sorte o merito, lavorano.

Dovendo fare i conti con il perimetro, si tratta in primo luogo di trattenere le imprese in Italia e convincere quelle di altri paesi a venirci. E già questo è complicato, vista la facilità per le aziende di collocarsi ovunque trovino condizioni più favorevoli. Ma subito dopo si tratta di trattenere nel perimetro la quota di risorse ivi prodotte che deve essere destinata al finanziamento dei servizi pubblici, in un contesto dove le nuove tecnologie stanno mutando drasticamente il concetto di territorialità fino ad annullarlo. Solo per fare un esempio, senza scomodare la fiscalità generale, quanta IMU paga Amazon? Se il numero degli esercizi commerciali si riducesse del 50% in pochi anni, trasformando i negozi in spazi inutili e privi di valore chi pagherà la corrispondente IMU ai comuni? La nostra ambizione sono teorie di fabbricati “collabenti”? Ha senso allora almeno ipotizzare un’accisa su ogni spedizione da ripartire fra i comuni interessati dalla distribuzione? Se per il tuo arricchimento distruggi posti di lavoro e entrate tributarie, dovresti indennizzare almeno un po’ chi te lo lascia fare.
La realtà è che le persone vivono e lavorano in un luogo. Chiedono di essere istruite in un luogo, di essere curate in un luogo. Reclamano servizi alle istituzioni di un certo luogo, e se queste non sono in grado di rispondere cercano altrove le loro risposte.
Spezzare completamente, o rinunciare a “governare” almeno un po’ il legame fra il luogo dove si trovano le persone e il luogo dove si forma la ricchezza, o per meglio dire, dove si accumula la ricchezza, significa ribaltare tutti gli attuali schemi economico-istituzionali con conseguenze impressionanti. Ciò che sta accadendo in Africa dovrebbe pur insegnare qualcosa.

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