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Nel transfer pricing l’Ufficio prova che il prezzo si discosta da quello di mercato

/ REDAZIONE

Giovedì, 8 novembre 2018

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Nell’ambito della disciplina sui prezzi di trasferimento (art. 110 comma 7 del TUIR) incombe sull’Amministrazione finanziaria l’onere di provare l’esistenza di transazioni, tra imprese associate, a un prezzo non in linea con quello derivante dall’applicazione del principio di libera concorrenza; spetta, invece, al contribuente dimostrare che le transazioni siano concluse a valori di mercato. È questo il principio statuito dalla Corte di Cassazione, con la pronuncia n. 28335 di ieri, 7 novembre 2018, la quale richiama, altresì, alcuni precedenti dello stesso tenore (tra le altre, Cass. nn. 10742/2013, 18392/2015 e 7493/2016).

La ratio della normativa, prosegue la Suprema Corte, va individuata nel principio di libera concorrenza enunciato dall’art. 9 del Modello OCSE e investe “la sostanza economica dell’operazione”, che va confrontata “con analoghe operazioni realizzate in circostanze comparabili in condizioni di libero mercato tra soggetti indipendenti” (in tal senso, è richiamata la Cass. 15 novembre 2017 n. 27018); va quindi esclusa la relativa qualificazione come norma antielusiva in senso proprio.

Nel caso di specie, la C.T. Reg. aveva ritenuto inidonei gli elementi addotti dall’Ufficio e riguardanti il prezzo versato per l’acquisto di beni dalla controllante cinese (i giudici di merito avevano, ad esempio, ritenuto che la comparazione con l’impresa concorrente riguardasse prodotti non del tutto identici).
Ad avviso dei giudici di legittimità tale valutazione risulta erronea nella misura in cui considera i suddetti elementi in funzione dell’onere dell’Amministrazione finanziaria di provare il valore normale dei beni e non, invece, come elementi indiziari che le transazioni infragruppo erano state effettuate a un prezzo non corrispondente a quello normale (di mercato).

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