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Simulazione e fraudolenza non coincidono con il fine di evadere

/ REDAZIONE

Mercoledì, 21 agosto 2019

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La Cassazione, nella sentenza n. 36217/2019, ha precisato come, ai fini dell’integrazione del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, ex art. 11 del DLgs. 74/2000, l’alienazione sia “simulata”, ossia finalizzata a creare una situazione giuridica apparente diversa da quella reale, allorquando il programma contrattuale non corrisponda deliberatamente in tutto (simulazione assoluta) o in parte (simulazione relativa) alla effettiva volontà dei contraenti; con la conseguenza che, ove, invece, il trasferimento del bene sia effettivo, la relativa condotta non può essere considerata alla stregua di un atto simulato, ma deve essere valutata esclusivamente quale possibile “atto fraudolento”, idoneo a rappresentare una realtà non corrispondente al vero e a mettere a repentaglio o comunque ostacolare l’azione di recupero del bene da parte dell’Erario.

In particolare va precisato, quanto alla nozione di “atti fraudolenti”, che, secondo un ormai consolidato indirizzo ermeneutico, devono ritenersi tali tutti quei comportamenti che, quand’anche formalmente leciti, siano tuttavia connotati da elementi di inganno o di artificio, dovendosi cioè ravvisare l’esistenza di uno stratagemma tendente a sottrarre le garanzie patrimoniali all’esecuzione.

Deve quindi rimarcarsi che, ai fini della configurabilità del reato, non è sufficiente la semplice idoneità dell’atto a ostacolare l’azione di recupero del bene da parte dell’Erario, essendo invece necessario il compimento di atti che, nell’essere diretti a questo fine, si caratterizzino per la loro natura simulatoria o fraudolenta.

La necessità di individuare questo elemento ulteriore (quid pluris) nella condotta dell’agente è stata di recente sottolineata anche dalla Cassazione a Sezioni Unite n. 12213/2018, che, nell’ambito di una più ampia riflessione sul concetto di atti simulati o fraudolenti di cui all’art. 388 c.p., norma il cui schema risulta richiamato dall’art. 11 del DLgs. 74/2000, hanno affermato che sarebbe in contrasto con il principio di legalità una lettura della norma che facesse coincidere il requisito della natura fraudolenta degli atti con la loro mera idoneità alla riduzione delle garanzie del credito.

Per cui, in quest’ottica, può essere ritenuto penalmente rilevante solo un atto di disposizione del patrimonio che si caratterizzi per le modalità tipizzate dalla norma; non potendosi, in definitiva, far coincidere la natura simulata dell’alienazione o il carattere fraudolento degli atti con il fine di colpire le legittime aspettative dell’Erario.

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