Rivendere oro «coperto» da fatture false non è riciclaggio
La Cassazione, nella sentenza n. 45160/2019, ha precisato che, in mancanza della prova della provenienza delittuosa di oggetti d’oro, e in presenza dell’utilizzo in dichiarazione di fatture false tese a rappresentarne l’acquisto da un diverso soggetto, in realtà mai avvenuto, con successiva registrazione delle stesse nelle scritture contabili obbligatorie e detenzione ai fini della prova nei confronti dell’Amministrazione finanziaria, non è possibile contestare la fattispecie di riciclaggio in relazione alla successiva vendita per la fusione degli oggetti d’oro medesimi (art. 648-bis c.p.), ma esclusivamente quella penale tributaria di cui all’art. 2 del DLgs. 74/2000 (dichiarazione fraudolenta mediante fatture false).
Il reato di riciclaggio, infatti, presuppone la provenienza delittuosa dei beni, a nulla rilevando, invece, a tal fine, l’acquisizione del bene mediante un meccanismo illecito, quale è il ricorso a fatture relative a operazioni inesistenti. Questa condotta rende illecito il profitto conseguente, ovvero l’imposta evasa, ma non incide, di per sé, sulla provenienza del bene apparentemente oggetto della fatturazione (falsa).
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