Servono misure per migliorare la cassa delle aziende, non maquillage contabili
Qualsiasi soluzione dovrebbe essere ancorata a criteri di trasparenza, comparabilità, oggettività ed effettiva valutazione della continuità aziendale
Recentemente sono emerse all’attenzione del dibattito pubblico alcune proposte a supporto dei bilanci aziendali che saranno in parte compromessi dagli effetti della crisi economica conseguente alla pandemia scoppiata nei primi mesi dell’anno. Le ipotesi formulate, a parere di chi scrive, non colgono appieno le reali necessità delle imprese e, di conseguenza, del trattamento in bilancio degli effetti della crisi che stiamo attraversando.
Né la capitalizzazione dei costi di struttura, altrimenti ordinariamente sostenuti e oggi non compensati dal calo di fatturato e redditività causato dal blocco delle attività economiche, né l’eliminazione contabile degli ammortamenti in bilancio appaiono sufficienti alla bisogna, oltre a non essere esenti da taluni aspetti critici presentandosi similarmente a soluzioni di mero window dressing contabili.
Non convincono appieno nemmeno le formule di rivalutazione contabile degli asset di bilancio proposte con il decreto “Agosto”.
Nessuna di queste tre ipotesi di lavoro risolve granché a livello sostanziale: non migliorano la cassa delle aziende, non migliorano l’EBITDA, non riducono il rischio effettivo di default, piuttosto alimentano il ricorso a valutazioni quantitative soggettive, interrompendo la comparabilità dei bilanci e le serie storiche di raffronto, che non esimerà gli analisti di credito dal tener conto di queste alterazioni dei principi contabili. Senza peraltro intervenire in alcun modo sulle tecnicalità dei giudizi di continuità aziendale che amministratori, sindaci e revisori sono chiamati a dare in sede di bilancio.
Cosa serve davvero? Qualsiasi soluzione che venisse adottata, a nostro modo di vedere, dovrebbe essere ancorata a criteri di trasparenza, comparabilità, oggettività ed effettiva valutazione della continuità aziendale, che coinvolge un giudizio sulla capacità di cassa (cioè sostenibilità finanziaria nel tempo), a sua volta richiamata anche dalle norme sulla crisi d’impresa, ove vengono introdotti (sospensioni temporanee a parte) appositi indicatori obbligatori di “allerta”.
Riteniamo che un’ipotesi alternativa, che risponda a tutti i requisiti accennati e che possa essere ritenuta in linea con gli indirizzi europei, consista nel duplice intervento della “sospensione”, da un lato, delle “perdite da COVID” e del ricorso, dall’altro, a una forma di matusalem financing di pari importo, controgarantito dallo Stato, alla stregua di quanto già previsto con i meccanismi del decreto liquidità.
Più in particolare, sotto il primo profilo si introdurrebbe una “deroga” al principio di “garanzia” del capitale sociale, già in parte prevista con la disattivazione temporanea degli obblighi di ricapitalizzazione e/o scioglimento per riduzione del capitale per perdite, mediante un’allocazione in bilancio della “perdita sospesa” (pari alla parte del risultato dell’esercizio derivante dal lockdown e dalla difficile ripresa economica) come posta “a segno negativo” ben individuata del patrimonio netto, mantenibile nel tempo alla doppia condizione di un divieto di distribuzione di utili e riserve fino al suo completo riassorbimento e di un positivo giudizio sulla continuità aziendale prospettica a regime.
Sotto il secondo profilo, la continuità stessa verrebbe “sostenuta” attraverso la liquidità ottenibile dall’accensione di un finanziamento di lunga durata controgarantito dallo Stato. Gli effetti positivi sarebbero tre. La lunga durata del rimborso riduce infatti lo sforzo finanziario a carico dell’azienda, diminuendo il rischio finanziario di inadempienza (si pensi agli effetti sul DSCR) e quindi consentendo una più serena valutazione del going concern. Il minor rischio di stress finanziario (cioè default) dato dall’iniezione di liquidità per la copertura dei fabbisogni attuali e dalla bassa incidenza delle rate di rientro, che verranno coperte dai flussi di cassa futuri, comporta un minor rischio di escussione delle garanzie a carico del bilancio dello Stato.
Questi “finanziamenti speciali”, che prendono il nome di matusalem financing, possono essere allocati successivamente in un veicolo pubblico-privato di cartolarizzazione, comportando il duplice effetto di poter coinvolgere il sistema privato (si pensi a investitori di lungo periodo, come assicurazioni e casse pensioni, ad esempio) nella raccolta dei fondi necessari (trattandosi di emissioni di basket di titoli a lunga scadenza con garanzia su crediti controgarantiti dallo Stato) e di avere un unico interlocutore pubblico (MISE, ad esempio) per le eventuali future vicende di vita del credito (rinegoziazioni, stralci, remissibilità residuale), sottraendo alle banche inizialmente erogatrici la valutazione di fattibilità, che altrimenti sarebbero incentivate – per effetto delle garanzie stesse – a trattative maggiormente rigide per far scattare la possibilità di escutere la garanzia statale.
Trasparenza, comparabilità, oggettività e valutazione della continuità aziendale sarebbero dunque garantite con, al contempo, l’ottenimento di un’effettiva risposta ai reali bisogni delle imprese in difficoltà e, nondimeno, con maggiori effetti sistemici.
Che tale approccio comporterebbe poi una successiva riflessione – sul mantenimento, a regime, del vincolo di garanzia del capitale ovvero sul suo abbandono, sostituendolo con una più efficace, se ben fatta a livello diffuso, valutazione annuale del going concern nonché, nel caso venisse abbandonato, su una conseguente necessaria revisione degli (inattuati, ancora) indicatori di “allerta” – è altro tema non meno importante sul quale aprire un dibattito fra gli operatori del settore.