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LETTERE

Bisogna salvaguardare imparzialità e indipendenza del controllore fiscale

Giovedì, 27 maggio 2021

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Gentile Redazione,
se si chiedesse all’opinione pubblica cosa ne pensa dell’idea di incentivare i Vigili urbani con una valutazione positiva (incentivo monetario o di carriera che sia) sulla base delle multe erogate, si griderebbe allo scandalo.
Lo stesso si direbbe se si introducesse un incentivo per i Procuratori della Repubblica basato sul numero di anni di condanna ottenuti (o peggio ancora, soltanto richiesti) a carico degli indagati.

È intuitivo, ma è l’applicazione del principio della salvaguardia dell’indipendenza e quindi dell’imparzialità di giudizio di chi svolge un’attività di controllo.
Non per nulla, nei principi di revisione è stabilito il divieto di agganciare la remunerazione del revisore al risultato dell’attività di revisione.

Altrimenti, è ovvio, si corre il rischio che una volta avviata un’inchiesta, sporta una denuncia o ipotizzato un colpevole, l’attore in questione difenda la sua posizione non per difendere “la verità”, ma per difendere il suo operato.

Nessuno, o pochissimi, immagino, sostengono invece la necessità di introdurre simili incentivi “perché ci sono tanti reati”, o “perché ci sono troppe auto in divieto di sosta”.
Se però si calano questi principi in ambito fiscale, sembra quasi che l’opinione pubblica giustificherebbe simili incentivi “perché c’è tanta evasione”.

Giungo a questa conclusione perché da anni assistiamo a convenzioni di servizio concluse tra il MEF e l’Agenzia delle Entrate che includono incentivi monetari erogati non sulla quantità dei controlli o sulla base della loro qualità, ma sulla base dei “risultati” ottenuti con i controlli, e nessuno obietta nulla.
Anche solo l’indicazione di un “budget di riscossione” inficerebbe l’imparzialità di giudizio, perché quale Direttore di Agenzia non penserebbe che il mancato raggiungimento del budget sarebbe un ostacolo alla sua carriera e/o al suo compenso?

Peggio ancora, e me ne dispiace perché ho servito il Corpo a suo tempo e ho ancora fortissimo un senso di appartenenza nonostante il breve periodo, per il caso della Guardia di Finanza.
Non è colpa sua, ma non essendo titolare dell’azione amministrativa, l’unico modo che ha per misurare i suoi risultati è contare le denunce fatte, indipendentemente dagli esiti: e infatti periodicamente vengono divulgate le informazioni sul numero di evasori totali “denunciati”, l’ammontare di reddito evaso “segnalato” ecc., ma mai un rapporto sugli esiti di quelle denunce o segnalazioni.

Ebbene, nella vigente convenzione MEF-Agenzia 2020-2022, come in tutte le precedenti, sono presenti molti obiettivi e molti incentivi che confliggono con il principio dell’imparzialità di giudizio, che invece dovrebbe essere salvaguardata. Eccone alcuni:
- entrate complessive da attività di contrasto (7,19 – 14,4 – 15,31 mld);
- indicatori di efficienza sulle entrate (rapporto tra costi sostenuti per il proprio funzionamento rispetto al totale delle entrate erariali);
- maggior gettito atteso da nuovi investimenti oggetto di interpello negli anni precedenti;
- tasso di positività dei controlli sostanziali (94%!);
- indice di definizione della maggiore imposta accertata oggetto di adesione (65% - 70%);
- % di sentenze definitive totalmente favorevoli all’Agenzia 59%;
- numero degli accertamenti emessi (100.000).

Tre sono gli indicatori che più di altri compromettono l’imparzialità di giudizio. Il più dannoso è certamente il tasso di positività dei controlli sostanziali: una volta che un controllo è avviato, deve produrre una contestazione in almeno il 94% dei casi.

La percentuale di sentenze definitive totalmente favorevoli all’Agenzia: se si trattasse di pochi casi incerti (diciamo 10.000 casi l’anno) sarebbe anche una percentuale accettabile. Ma laddove i casi che finiscono in contenzioso sono un numero notevolissimo, pensare che la parte che già di suo dovrebbe essere imparziale e disinteressata possa sbagliarsi nel 41% dei casi ci pare dia la misura di cosa si chieda veramente all’Agenzia.

Chiudo con l’obiettivo del numero degli accertamenti emessi: accoppiato con il tasso di positività dei controlli diventa una vera e propria mina vagante per i contribuenti corretti.

La domanda che pongo è dunque questa: ma perché ciò che sarebbe totalmente avversato (anche dal codice penale) in tutti gli altri settori viene invece appositamente scolpito nella pietra quando c’è di mezzo il Fisco?
Sembra quasi che lo Stato si comporti come un italico quivis de populo: se le regole e i principi riguardano gli altri, vanno rispettate rigorosamente. Ma se riguardano me...


Giampiero Guarnerio
Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Milano

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