Lasciare la categoria senza governo è da irresponsabili, punto e basta
Gentile Direttore,
l’11 novembre dello scorso anno scrivendo una lettera rivolta a lei, ma naturalmente indirizzata anche a tutti i colleghi e soprattutto agli organi di governo della professione, terminavo la stessa maturando la convinzione che “un professionista che si possa permettere 135 ore di formazione in un anno e sostenere anche degli esami... sia un elegante nobiluomo di altri tempi che in alternativa alla caccia alla volpe abbia scelto di fare” il commercialista e infine aggiungevo “Penso che giunti ormai a questa situazione possiamo solo sperare, se credenti, nell’aiuto del Buon Dio” (si veda “Oggi la formazione continua rischia di diventare un’attività da benestanti”).
Le mie considerazioni trovavano fondamento nella convinzione che tale idea fosse maturata all’esterno della professione, e al limite, vista l’inerzia, anche negli organi di governo della stessa. Mi sbagliavo. Ora ne sono certo. A ben vedere infatti tale convinzione deve aver messo radici molto profonde trovando terreno fertile anche nella base ovvero tra i colleghi che animano la nostra categoria.
Se non fosse così, non ci sarebbero spiegazioni. Se non venisse esercitata la professione solo per gioco e per passare il tempo, senza nessuna preoccupazione di come portare “la pagnotta” a casa, non si spiegherebbero gli accadimenti di questi ultimi 15 mesi.
Lasciare una categoria senza governo, né ai vertici né tantomeno alla base è da irresponsabili, punto e basta.
Probabilmente è il sistema ordinistico che sta mostrando i segni del tempo e noi, un ente pubblico, con tutti i suoi vincoli istituzionali, giuridici, amministrativi non riusciamo a gestirlo con la perizia e le capacità tecniche-deontologiche necessarie.
È magra la figura che sta facendo una categoria che non riesce neanche a esperire uno dei più semplici passaggi istituzionali, ovvero le elezioni degli organi di governo, ed è probabilmente il manifesto di quello che siamo diventati.
Venti anni fa, ero per la prima volta segretario (è proprio ora che mi tolga di torno!). L’Ordine, così come il Collegio, era frequentato da colleghi eleganti, si respirava un’ aria di “service” che mi faceva, e mi fa pensare, a uno stralcio dell’etica lionistica “... prudenti nella critica generosi nella lode, sempre pronti a costruire e non a distruggere...”. Sì, l’Ordine era un ente pubblico, ma sembrava più un’associazione di professionisti orgogliosi di appartenere a una categoria PRESTIGIOSA. Poi gli anni che si sono susseguiti sono diventati sempre più sterili, appesantiti dagli adempimenti burocratici, dall’obbligo formativo che di fatto ha delegittimato il nostro giuramento deontologico di professionisti quotidianamente aggiornati. Le numerose e continue richieste di adeguamenti e report tipici dell’ufficio statale hanno inaridito la nostra professione portandoci a un generale imbarbarimento.
Cosa siamo divenuti?
Un gregge in un recinto che va avanti a ricorsi, marche da bollo... Poca, molto poca eleganza. Poca, molto poca deontologia. Poca, molto poca lealtà.
Cari Colleghi e caro Direttore, a ben vedere ci sarà sempre un argomento per alimentare un ricorso amministrativo che trovi un qualche fondamento giuridico, magari sempre meno consistente, sempre più rappresentante un qualche diritto veramente residuo ma non per questo di poco peso su una bilancia da gioielliere.
Se vogliamo sparire perseveriamo con questo stile, ma non lamentiamoci se un giorno, vietata la caccia alla volpe, ci troveremo di nuovo a studiare sugli amati libri, ma senza lavoro. Allora sarà solo noia.
Marco Santoni
Presidente ODCEC Viterbo
Vietata ogni riproduzione ed estrazione ex art. 70-quater della L. 633/41