Gli strumenti per le aggregazioni ci sono tutti, serve la mentalità
Gentile Redazione,
vorrei inserirmi nel dibattito sulle aggregazioni che ha visto gli interventi dei colleghi Righini, Cacciani e Maistri e che ha preso spunto dal recente studio di CNDCEC e FNC sui bilanci delle STP (si veda “Ancora scarsa la diffusione delle STP tra commercialisti” del 23 marzo 2022).
Ringrazio Saudo Maistri (si veda “I professionisti dovrebbero poter sottoscrivere contratti di rete”) per aver decantato il contratto di rete, e tuttavia non vedo alcun ostacolo alla costituzione di reti tra professionisti. Come ha confermato anche il MISE con nota 28 gennaio 2020 n. 23331, i contratti di rete tra professionisti e misti si possono assolutamente stipulare e sono validi a tutti gli effetti. Pur restando validi, laddove coinvolgano soltanto professionisti non organizzati in STP, non potranno essere oggetto di pubblicità al Registro Imprese. E per i più arditi, il “Jobs Act Autonomi” mette a disposizione perfino i consorzi tra professionisti!
Ad Alberto Righini (si veda “Servono supporto e modelli operativi per le aggregazioni professionali”) va il merito di aver aperto la discussione. Ma glielo avete detto alle “Big 4” che non ci sono gli strumenti giuridici e tributari per aggregarsi e crescere? E che dire delle molte iniziative da anni in costante crescita nel “middle market” quali ad esempio NexumStp per citarne solo una? E vogliamo dimenticare le ormai decine di grandi studi locali che popolano molte nostre città ma anche la provincia più ricca? Diciamocelo: chi voleva unirsi lo ha fatto, e con successo! Da anni sono in uso pratiche consolidate per valutare le affinità elettive, la fattibilità economica, gli apporti, fino alla scelta del tipo societario, della struttura e alla definizione della remunerazione e della governance. Ci sono perfino corsi “pre-matrimoniali” per “addomesticare” i professionisti nati liberi e addestrarli a collaborare tra loro. Purtroppo anche chi decide di aggregarsi spesso si ostina a non farsi consigliare. Molte aggregazioni nascono così sull’onda di facili entusiasmi e falliscono per carenza di analisi e pianificazione.
Condivido quindi la posizione di Alberto Cacciani (si veda “Il vero problema è la scarsa volontà di aggregazione dei commercialisti”): il problema sta in un atteggiamento mentale del professionista in passato vincente ma oggi ridondante. Il limite che non consente ai professionisti italiani di crescere si chiama individualismo, e si manifesta nell’orgoglio: mai unirsi ad altri perché “io sono meglio”, mai farsi aiutare perché “mi aggiusto da solo”. A questo si sono aggiunte recentemente la paura di perdere quanto faticosamente costruito e la paralisi da sopraffazione, data dal rendersi conto di non riuscire a cambiare velocemente tutto ciò che ci sarebbe da cambiare.
Occorre quindi che il singolo professionista, non le istituzioni, si assuma la responsabilità della propria situazione e da lì affronti, a piccoli passi, la sfida del cambiamento di mentalità e la traduca in azione. Gli strumenti ci sono tutti, a voi trovare il coraggio di usarli.
Michele D’Agnolo
Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Trieste
Vietata ogni riproduzione ed estrazione ex art. 70-quater della L. 633/41