Servono supporto e modelli operativi per le aggregazioni professionali
Gentile Redazione,
mi collego all’ultima ricerca diffusa da Consiglio e Fondazione nazionale dei commercialisti sulle STP (si veda “Ancora scarsa la diffusione delle STP tra commercialisti” del 23 marzo), per tornare a parlare di aggregazioni professionali; oggi più che mai sono un’esigenza sentita dalla nostra categoria e una priorità per poter stare su un mercato competitivo e offrire servizi professionali di qualità.
Spesso si parla del limite, che effettivamente esiste, con riguardo alla creazione da parte di professionisti di forme di raggruppamento. Tale limite riguarda principalmente la normativa fiscale, che costituisce un freno alle organizzazioni fra professionisti (e quindi anche la costituzione di nuove società o associazioni) anche, ma non solo, in virtù della scelta che va fatta fra “reddito per competenza” o “reddito per cassa” in considerazione della formula associativa che si adotta. In più la mancanza di certezze circa una neutralità fiscale nel conferire la propria struttura originaria in una nuova associazione è sicuramente un altro problema
Al di là degli aspetti fiscali, esistono altri aspetti di natura prettamente societaria che impattano sulle difficoltà sul come costituire e regolare una società o un’associazione tra professionisti. Concretamente, tra le altre, le tematiche principali sono:
- quale governance scegliere? Adozione di delibere a unanimità o a maggioranza? Amministrazione disgiunta o meno? In caso di veto la decisione viene rimessa all’assemblea (decide a maggioranza per teste o su ripartizione degli utili)?
- come dividere gli utili? In base a utili/quote fisse o variabili? La scelta non è di poco conto perché le conseguenze sono rilevanti. Ad esempio, se si opta per la ripartizione in maniera fissa, vi è il rischio che la struttura si “addormenti”; viceversa, se la scelta ricade per una ripartizione variabile, vi è il rischio di “accaparramento” della clientela quando la stessa entra in studio.
Ancora, sarà necessario definire il c.d. “punto di partenza” degli utili/quote, ovvero se considerare il fatturato generato, le marginalità prodotte o quanto dichiarato nella denuncia dei redditi da ciascun singolo professionista negli ultimi X anni, apportando naturalmente le dovute rettifiche e aggiustamenti.
Questi sono solo due aspetti da considerare, ma ve ne sono molti altri e quello che si vede è che a fronte di queste varie problematiche ci sono al più solo studi teorici mentre mancano modelli pratici da consultare e su cui potersi misurare, progettare il proprio futuro insieme. Su questo aspetto certamente le varie classi dirigenti della professione devono investire di più per dare a tutti i colleghi risposte concrete sui vari problemi pratici che si pongono quando si vuole fare veramente una aggregazione tra professionisti.
Ma, ancora, esiste un altro aspetto (anche se non di tipo fiscale-societario) per il quale possiamo usare una metafora sportiva, ossia: come si può convivere e come “giocare di squadra”? La maggioranza degli appartenenti a organizzazioni professionali sostiene che gioca di squadra anche se non sa poi spiegare cosa voglia veramente dire se si approfondisce la tematica.
Il gioco di squadra presuppone alcune basi minime:
- la definizione di obiettivi comuni che diano al contempo soddisfazione al singolo;
- la predisposizione di una strategia che si fondi sugli obiettivi da conseguire (ad esempio, prevedendo la specializzazione e la suddivisione in team di lavoro o dipartimenti con diverse specializzazioni per fare un lavoro di maggiore qualità e dare una completezza di offerta ai clienti o, all’altro estremo, la specializzazione di tutto lo studio su una singola tematica;
- la definizione dei ruoli dei singoli;
- la predisposizione di regole, che sono fondamentali (su questo aspetto un appunto che può sembrare ovvio, ma poi in pratica non lo è: il presupposto del gioco di squadra è che si prendono insieme le varie decisioni e anche se un soggetto inizialmente dissente è necessario che poi si conformi alla volontà della maggioranza portando avanti ciò che si è deciso insieme. Questa semplice regola, in soggetti tendenzialmente individualistici quali sono i professionisti, è piuttosto difficile, ma è la cosa più importante da fare, altrimenti è inutile parlare di “gioco di squadra”).
Peraltro, a monte è necessario condividere “quale” gioco, quale “partita giocare” e con quale sentiment: è chiaro che se si sceglie “lo stile Rotary”, dove l’impegno è relativo e il commitment è contenuto, si avrà un diverso coinvolgimento rispetto allo “stile ferrata in montagna”, dove la vita di ciascuno dipende da quella degli altri componenti la squadra.
Tutto ciò coinvolge le professioni e i loro organi elettivi – e in particolare nel mio caso la professione dei commercialisti – a cui è richiesto, oltre che di promuovere la soluzione degli ostacoli fiscali e societari, anche di approfondire in modo nuovo questi temi, dando supporto, modelli operativi concreti, agevolazioni e anche approfondimenti e indirizzi comportamentali.
Serve tutto questo, urgentemente!
Alberto Righini
Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Verona
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