Alla Consulta il divieto di nuove prove in appello
La previsione sul divieto di produrre i documenti notificatori genera disparità di trattamento tra le parti
La Corte Costituzionale è stata chiamata a pronunciarsi, a seguito dell’ordinanza di rimessione proposta dalla Corte di Giustizia di secondo grado della Campania n. 1658 del 9 luglio 2024, sulla compatibilità dell’art. 58 comma 3 del DLgs. 546/92 con gli artt. 3, 24 e 111 Cost. nel punto in cui non è più consentito alla parte pubblica di poter depositare in appello le prove relative alla notifica degli atti.
Si rammenta che l’art. 58 del DLgs. 546/92 è stato sostituito dall’art. 1 comma 1 lett. bb) del DLgs. 220/2023 (in recepimento della L. 111/2023) e trova applicazione ai giudizi instaurati, in primo e in secondo grado, nonché in Cassazione, a decorrere dal 5 gennaio 2024 ex art. 4 comma 2 del DLgs. 220/2023.
Nella formulazione attualmente vigente l’art. 58 citato statuisce che:
- non sono ammessi nuovi mezzi di prova e non possono essere prodotti nuovi documenti, salvo che il collegio li ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa ovvero che la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa a essa non imputabile (comma 1);
- possono essere proposti motivi aggiunti qualora la parte venga a conoscenza di documenti, non prodotti dalle altre parti nel giudizio di primo grado, da cui emergano vizi degli atti o provvedimenti impugnati (comma 2);
- non è mai consentito il deposito delle deleghe, delle procure e degli altri atti di conferimento di potere rilevanti ai fini della legittimità della sottoscrizione degli atti, delle notifiche dell’atto impugnato ovvero degli atti che ne costituiscono presupposto di legittimità che possono essere prodotti in primo grado anche ai sensi dell’art. 14 comma 6-bis dello stesso DLgs. (comma 3).
Il comma 3 della norma in commento, quindi, non consente più alla parte pubblica di produrre in secondo grado la relata di notifica o l’avviso di ricevimento, che devono ora essere necessariamente prodotti in primo grado.
Ad esempio, nel caso in cui il contribuente ricorra contro l’intimazione ex art. 50 del DPR 602/73 eccependo la mancata notifica della previa cartella di pagamento, se la prova della notifica non viene prodotta in primo grado in appello non potrà più essere depositata per nessun motivo. Ciò sebbene si tratti di documenti indispensabili per decidere la controversia.
La ragione risiede nel fatto che si tratta di documenti per loro natura in possesso della parte, quindi per economia processuale ed esigenze di difesa della controparte vanno prodotti in primo grado.
La modifica normativa ha quindi posto un freno a una pratica largamente diffusa nel processo tributario, che vedeva la parte pubblica spesso inerte al deposito dei documenti notificatori nel primo grado di giudizio e poi solerte al deposito dei medesimi in secondo grado.
Ciò spesso a scapito del contribuente che di fatto si trovava nella condizione di “utilizzare” un solo grado di giudizio per difendersi nel merito (l’appello), dal momento che il decisum di primo grado diventava, in assenza della documentazione notificatoria, ai limiti di una pronuncia initutiliter data.
L’introduzione della nuova disposizione, trovando applicazione ai ricorsi in appello notificati dal 5 gennaio 2024, ha di fatto stravolto le regole processuali a danno, soprattutto, della parte pubblica.
Essa, infatti, si è trovata nella condizione di non poter più depositare i documenti in appello rispetto a quanto accadeva prima della modifica.
Nella specie, la C.G.T. di secondo grado spiega che la “parte pubblica si è oggettivamente trovata privata, in modo imprevisto e imprevedibile, di una facoltà processuale di posticipazione delle prove che aveva a disposizione allorché è stato incardinato il giudizio”.
La Corte di giustizia tributaria remittente ha quindi sollevato il contrasto costituzionale dell’art. 58 terzo comma del DLgs. 546/92 con il canone della ragionevolezza di cui all’art. 3 primo comma Cost. e con l’art. 111 primo e secondo comma Cost., nonché con l’art. 24 secondo comma Cost., dal momento che i poteri delle parti in sede di gravame risultano disomogenei.