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Venerdì, 9 maggio 2025 - Aggiornato alle 6.00

LAVORO & PREVIDENZA

Il divieto di licenziamento in gravidanza prevale sul superamento del comporto

La disciplina di cui all’art. 54 del DLgs. 151/2001, in quanto speciale, deve ritenersi prevalente rispetto a quella generale in materia di comporto

/ Giada GIANOLA

Venerdì, 9 maggio 2025

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Quando il licenziamento è intimato nei confronti di una lavoratrice che si trovi in stato di gravidanza, deve osservarsi la normativa di cui all’art. 54 del DLgs. 151/2001, di carattere speciale rispetto a quella dettata dall’art. 2110 c.c. in tema di comporto.
Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, che con l’ordinanza n. 12060/2025 ha confermato la nullità del licenziamento intimato nei confronti di una lavoratrice per superamento del periodo di comporto in quanto, al momento del recesso datoriale, la stessa era in gravidanza.

I giudici hanno così applicato il disposto del citato art. 54 del DLgs. 151/2001, il quale vieta in modo espresso il licenziamento dall’inizio del periodo di gravidanza fino al termine dei periodi di interdizione dal lavoro, nonché fino al compimento di un anno di età del bambino. La violazione di tale divieto comporta la nullità del licenziamento, ciò anche quando i relativi effetti vengano differiti a un momento successivo rispetto al termine della gravidanza o al compimento di un anno di età del bambino (si veda “Nullo il licenziamento sospeso fino a un anno di età del bambino” del 18 dicembre 2023).

Si tratta di un divieto che opera in connessione con lo stato oggettivo di gravidanza, tanto che, come ormai risulta pacifico in giurisprudenza, risulta assolutamente irrilevante la conoscenza o meno dello stato di gravidanza da parte sia del datore di lavoro, sia della stessa lavoratrice. La Suprema Corte, con l’ordinanza in esame, ha del resto sottolineato che ai fini dell’operatività del divieto in questione non rilevano nemmeno gli altri elementi che potenzialmente possono determinare la cessazione del rapporto di lavoro, come, appunto, il superamento del periodo di comporto.

Secondo la disciplina generale, in caso di assenza per malattia il dipendente ha infatti diritto alla conservazione del posto di lavoro, potendo essere licenziato, ai sensi dell’art. 2110 comma 2 c.c., solo dopo il decorso del c.d. periodo di comporto, il quale è generalmente stabilito dalla contrattazione collettiva.
Sebbene l’art. 2110 c.c. faccia riferimento anche alla gravidanza, i giudici di legittimità, nell’ordinanza n. 12060/2025, chiariscono che la normativa dettata dal DLgs. 151/2001 a tutela della maternità rappresenta una deroga rispetto all’intera disciplina limitativa dei licenziamenti e, quindi, in quanto speciale, deve ritenersi prevalente anche rispetto all’art. 2110 c.c. Il divieto di licenziamento in argomento non opera in verità solo nelle ipotesi indicate al comma 3 del citato art. 54, quindi in caso di: colpa grave della lavoratrice; cessazione dell’attività dell’azienda cui la lavoratrice risulti addetta (quindi non di un solo ramo o reparto); ultimazione della prestazione per la quale la lavoratrice è stata assunta; risoluzione del rapporto di lavoro per scadenza del termine; esito negativo della prova.

Di conseguenza, conclude la Cassazione, quando in caso di malattia il periodo di comporto risulti superato, tale superamento non esclude l’operatività del divieto di licenziamento di cui all’art. 54 del DLgs. 151/2001 se la lavoratrice sia in stato di gravidanza, risultando prevalente l’esigenza di tutelare la maternità alla quale l’indicato decreto legislativo è preposto.

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