La Cassazione ribadisce che la cessione totalitaria di partecipazioni non è cessione d’azienda
L’art. 20 del DPR 131/86, ove esclude la possibilità di riqualificare l’atto portato alla registrazione sulla base di elementi extratestuali o di atti collegati, impedisce anche di riqualificare in cessione d’azienda l’atto che realizzi la cessione totalitaria di partecipazioni, in quanto tale operazione ermeneutica “travalica gli elementi desumibili dall’atto medesimo”, fondandosi “su una visione di insieme formata dall’esame di elementi extratestuali e di altri atti collegati a quello assoggettato a tassazione”.
Lo ribadisce la Cassazione nella sentenza n. 10243, depositata ieri.
In particolare – spiega la Corte – non è condivisibile l’affermazione dell’Ufficio, secondo cui la riqualificazione della cessione totalitaria di partecipazioni in cessione d’azienda non implicherebbe un riferimento a elementi estrinseci all’atto portato alla registrazione, in quanto dalle due operazioni emergerebbero risultati identici.
Secondo la Cassazione, invece, il diverso oggetto del trasferimento (costituito, in un caso, dalla partecipazione sociale e, nell’altro, dall’azienda quale compendio di beni organizzato per l’esercizio dell’impresa ai sensi dell’art. 2555 c.c.), nonché la diversa disciplina cui sono sottoposti, anche mediante la previsione di istituti dedicati e caratterizzanti (la successione nei debiti crediti, la responsabilità per i debiti aziendali, il divieto di concorrenza, il trasferimento delle posizioni lavorative) “bastano a denotare la giuridica non assimilabilità, ex art. 20, della cessione aziendale a quella della partecipazione sociale, per quanto totalitaria”.
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