Detrazione delle imposte estere senza vincoli nei rapporti con Stati convenzionati
Dalla giurisprudenza il riconoscimento del ruolo sovraordinato dei Trattati sull’art. 165 del TUIR
In giurisprudenza si sta via via consolidando una linea interpretativa estensiva in relazione alla detraibilità delle imposte sui redditi prodotti all’estero, la quale, nelle sue varie articolazioni, ha l’elemento comune del riconoscimento della preponderanza delle disposizioni convenzionali rispetto al dettato dell’art. 165 del TUIR.
In tema di omessa presentazione della dichiarazione o di omessa indicazione in dichiarazione del reddito estero, le pronunce della Corte di Cassazione nn. 24160/2024 e 28801/2024 hanno stabilito che, ove l’Italia abbia assunto, per mezzo di un Trattato bilaterale, un obbligo incondizionato di concedere ai propri residenti un credito per i tributi versati nell’altro Stato in conseguenza di un reddito ivi prodotto, il meccanismo volto a evitare la doppia imposizione deve essere applicato indipendentemente dal rispetto di qualsivoglia adempimento di carattere formale.
Ne deriva l’inapplicabilità dell’art. 165 comma 8 del TUIR, il quale preclude la detrazione in caso di omessa dichiarazione o omessa indicazione nella stessa del reddito estero, permanendo in caso di accertamento del reddito non dichiarato la possibilità di ottenere lo scomputo di quanto versato nell’altro Stato.
Al contrario, la stessa sentenza n. 24160/2024 precisa che, ove il reddito estero sia prodotto in uno Stato con il quale l’Italia non abbia siglato una Convenzione contro le doppie imposizioni da cui si tragga un obbligo incondizionato di riconoscimento del credito, occorrerebbe applicare l’art. 165 comma 8 del TUIR; in queste evenienze, il riconoscimento della detrazione sarebbe possibile solo se il reddito è indicato nella dichiarazione.
Occorre peraltro ricordare che, in caso di mancata indicazione in una dichiarazione validamente presentata del reddito prodotto all’estero, rimane sempre possibile la presentazione di una dichiarazione integrativa nel termine previsto per l’accertamento, come chiarito dall’Agenzia delle Entrate nella circolare n. 9/2015.
Un secondo fronte di contenzioso riguarda la disposizione di cui all’art. 165 comma 4 del TUIR, secondo cui la detrazione deve essere calcolata nella dichiarazione relativa al periodo d’imposta cui appartiene il reddito estero al quale si riferisce l’imposta. La Cassazione, nella recente ordinanza n. 10642/2025, ha invece stabilito la necessità di conferire prevalenza alla volontà convenzionale di evitare le doppie imposizioni, ritenendo legittima – sempre in relazione ai rapporti con Paesi legati all’Italia da un Trattato – la liquidazione del credito e il relativo utilizzo anche in dichiarazioni successive, purché nel rispetto del termine prescrizionale ordinario decennale di cui all’art. 2946 c.c. (il computo del credito, va da sé, è effettuato in base ai dati “storici” e non in base a quelli dell’anno in cui lo si richiede).
Il terzo fronte di lite è relativo alla detrazione delle imposte estere per i redditi assoggettati a imposizione sostitutiva ex art. 18 del TUIR o a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta (il caso tipico è quello dei dividendi percepiti da persone fisiche). Anche in questo caso, si pone un problema di compatibilità con i Trattati dell’art. 165 comma 1 del TUIR, il quale concede il credito di imposta solo in relazione a quei redditi esteri che concorrono alla formazione del reddito complessivo.
La Corte di Cassazione, nelle sentenze nn. 25698/2022 e 10204/2024, ha invece stabilito che il credito di imposta deve essere concesso nel caso in cui la clausola convenzionale atta a evitare le doppie imposizioni ne preveda la spettanza salvo che la ritenuta (o l’imposizione sostitutiva) avvenga “su richiesta del beneficiario”. È quanto si legge, ad esempio, all’art. 23 par. 2 del Trattato con gli Stati Uniti.
Diversamente, nessuna detrazione è accordata ove la Convenzione ne preveda l’esclusione in ogni caso in cui l’imposizione sia effettuata mediante imposta sostitutiva o ritenuta “anche su richiesta del contribuente” (ne sono un esempio le Convenzioni con Singapore, Malta, Cipro e il Protocollo aggiuntivo al Trattato con l’Arabia Saudita).
Da ultimo, due recenti sentenze di merito (C.G.T. I° Trieste, sentenze nn. 188/1/23 e 55/2/24) hanno stabilito l’inapplicabilità dell’art. 165 comma 10 del TUIR, secondo il quale, ove il reddito estero concorra solo parzialmente alla formazione del reddito complessivo, anche l’imposta estera detraibile deve essere ridotta proporzionalmente: ciò in quanto la normativa nazionale imporrebbe al contribuente un trattamento più sfavorevole rispetto a quello previsto in sede convenzionale. Proprio l’espressa previsione della falcidia in taluni Trattati, in genere recenti (ad esempio, Cipro, Panama, Monaco), testimonierebbe la consapevolezza del legislatore dell’inapplicabilità di tale principio alle Convenzioni che prevedono unicamente il limite generale dell’ammontare della quota d’imposta italiana sul reddito estero.
L’Agenzia delle Entrate, con la recente risposta a interpello n. 101/2025, si è però espressa nel senso dell’indistinta applicabilità della falcidia del credito, fatto che dovrebbe portare a nuove situazioni di contenzioso sul tema.
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