Credito ricerca e sviluppo per progetti non innovativi da recuperare nei cinque anni
Rigettata la tesi della inesistenza del credito
Nel complesso ambito dei crediti d’imposta per attività di ricerca e sviluppo, uno degli aspetti più delicati concerne la distinzione tra credito “non spettante” e credito “inesistente”. Questa differenziazione, seppur tecnica, si traduce in conseguenze concrete per i contribuenti e per l’Amministrazione finanziaria, in particolare con riferimento ai termini di accertamento e al regime sanzionatorio applicabile.
La distinzione in esame ha trovato un’ulteriore conferma e chiarimento nell’atto di indirizzo emanato dal MEF il 1° luglio 2025.
Sulla medesima questione si è pronunciata anche la Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia con la sentenza 16 giugno 2025 n. 1482/25/25 chiarendo che, in presenza di un progetto effettivamente eseguito ma privo del requisito dell’innovatività, il credito maturato non può essere qualificato come “inesistente”, bensì come “non spettante”.
Il legislatore, con il DLgs. 87/2024, ha aggiornato l’art. 1 del DLgs. 74/2000 introducendo una definizione puntuale delle due categorie: il credito è definito “inesistente” quando mancano del tutto i requisiti oggettivi o soggettivi previsti dalla legge ovvero quando si fonda su documentazione falsa o simulata; è invece “non spettante” quando, pur essendo presenti i requisiti formali e sostanziali, il credito è richiesto per attività non riconducibili nell’ambito normativo o fruito in modo non conforme (ad esempio, in misura superiore a quella ammessa o senza osservare gli adempimenti prescritti).
Nel caso affrontato dalla Corte, i giudici hanno sottolineato che non si può parlare di inesistenza del credito in quanto:
- i progetti sono stati effettivamente realizzati;
- è stata prodotta documentazione tecnico-scientifica idonea a dimostrare l’effettività delle attività;
- non è emersa alcuna condotta fraudolenta o simulazione.
Di conseguenza, la questione si focalizza esclusivamente sulla spettanza del credito, ossia se le attività realizzate, benché esistenti, siano effettivamente ammissibili al beneficio fiscale, in ragione del mancato possesso del requisito dell’innovatività.
Questa qualificazione non è una mera questione terminologica, bensì determina effetti rilevanti in ordine ai poteri di controllo e recupero dell’Agenzia delle Entrate. Per i crediti inesistenti, infatti, si applica un termine di decadenza più lungo (otto anni) e un regime sanzionatorio più severo; per i crediti non spettanti si osservano i termini ordinari di accertamento (generalmente cinque anni) e sanzioni di entità inferiore.
In tal senso, riconoscere il credito come “non spettante” evita un aggravamento della posizione del contribuente, sia sotto il profilo temporale, sia sotto quello economico.
La Corte ha poi ribadito che la nozione di innovazione va interpretata nel contesto temporale e normativo in cui il progetto è stato sviluppato. Nel periodo 2015-2016, infatti, l’interpretazione dominante – anche nella prassi dell’Agenzia delle Entrate – non imponeva una novità assoluta, bensì una novità relativa rispetto alle conoscenze possedute dall’impresa. Perciò non è ammissibile un’applicazione retroattiva di criteri più restrittivi, come quelli del 2015, successivamente adottati in modo più rigoroso.
Questa sentenza si inserisce in una linea giurisprudenziale sempre più attenta a distinguere tra errori di valutazione tecnica e intenzioni fraudolente. In ambito ricerca e sviluppo, dove le valutazioni sull’innovazione sono complesse e talvolta soggettive, non ogni errore comporta automaticamente l’inesistenza del credito.
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