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Lunedì, 7 luglio 2025 - Aggiornato alle 6.00

FISCO

Computo dell’onere da verificare per le operazioni di leverage cash out ritenute abusive

Necessario tenere conto di alcuni aspetti di rilievo in sede di eventuale adesione o contenzioso, concernenti il calcolo del vantaggio fiscale

/ Luca MIELE

Lunedì, 7 luglio 2025

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Risultano frequenti le contestazioni degli uffici finanziari in materia di abuso del diritto con specifico riguardo a fattispecie di trasferimenti di partecipazioni preceduti dalla rivalutazione del costo fiscale delle stesse mediante pagamento di imposta sostitutiva.
Le operazioni contestate sono, non di rado, quelle di c.d. leverage cash out o family buy out, utilizzate nei casi di passaggi generazionali o di riassetto proprietario, fortemente diffuse in un contesto come quello italiano di piccole e medie imprese.

Lo schema di tali operazioni è piuttosto standardizzato, ancorché possa presentare una serie di varianti. I soci persone fisiche (non imprenditori) di una società di capitali target, generalmente con riserve di utili “in pancia”, costituiscono una newco cui vengono cedute le partecipazioni detenute nella società target; la newco attinge dal patrimonio della società target le risorse finanziarie per pagare ai soci uscenti il prezzo d’acquisito delle partecipazioni il cui versamento è generalmente differito nel tempo in modo che possa avvenire contestualmente a una o più distribuzioni di dividendi dalla target alla newco. In alcuni casi, è operata la fusione tra newco e target in modo che il debito di newco confluisca in target.

L’attenzione dei verificatori in merito a tali operazioni, in estrema sintesi e senza alcuna pretesa di esaustività, si riscontra soprattutto nei casi di c.d. circolarità, anche parziale, in cui gli atti posti in essere non determinano una modificazione significativa dell’assetto giuridico-economico preesistente del contribuente, ma esclusivamente un beneficio fiscale (in assenza di ragioni extra-fiscali).

In altre contestazioni viene affermato che il vantaggio fiscale è indebito perché conseguito in aggiramento delle disposizioni tributarie in materia di recesso tipico che sarebbero applicabile alla fattispecie. In particolare, il recesso atipico (cessione della partecipazione) è individuato come elemento dell’abuso, messo a confronto con il recesso tipico (rimborso della quota), con la conseguenza di un vantaggio fiscale del primo rispetto al secondo.

La convenienza di queste operazioni consiste nel fatto che, in luogo dell’imposizione sui dividendi (26%), è possibile beneficiare dell’imposta sostitutiva sulla rivalutazione delle partecipazioni secondo aliquote tendenzialmente minori rispetto al 26%. In altri termini, i soci possono monetizzare, tramite la newco, gli utili e le riserve di utili della società target con un onere fiscale inferiore rispetto a quello applicabile in caso di distribuzione dei dividendi ai sensi dell’art. 27 del DPR 600/1973.
Le contestazioni muovono da alcune pronunce dell’Agenzia delle Entrate che, nel tempo, si sono interessate della materia (principio di diritto n. 20/2019, risposte nn. 341/2019 e 242/2020).

In questa sede non si intende approfondire le criticità derivanti dalle tesi sostenute dall’Amministrazione finanziaria, ma evidenziare alcuni aspetti di rilievo di cui tenere conto in sede di (eventuale) adesione o contenzioso, concernenti il calcolo del vantaggio fiscale (indebito). A riguardo ricordiamo, in primo luogo, che, ai sensi dell’art. 10-bis comma 1 della L. 212/2000, l’ufficio finanziario, una volta contestate le condotte abusive, deve determinare “i tributi sulla base delle norme e dei principi elusi e tenuto conto di quanto versato dal contribuente per effetto di dette operazioni”. Pertanto, nelle fattispecie sopra rappresentate, gli uffici devono computare l’onere fiscale che sarebbe gravato sui soci interessati dalla contestazione in caso di distribuzione degli utili, sottraendo da esso quanto pagato a titolo di imposta sostitutiva.

Un aspetto da verificare con attenzione deriva dal fatto che gli utili sono tassati secondo il principio di cassa (art. 45 del TUIR) e quindi affinché si sia realizzata quella monetizzazione degli utili e delle riserve di utili oggetto delle contestazioni occorre che il prezzo di vendita delle partecipazioni il cui costo sia stato previamente rivalutato sia stato interamente incassato. In caso contrario, la monetizzazione risulterebbe avvenuta solo in parte e di ciò occorre tenere conto nel computo dell’onere fiscale da accertare in capo al contribuente.

Monetizzazione in misura proporzionale alle rate di prezzo pagate

La fattispecie è piuttosto frequente nella pratica in quanto solitamente il pagamento del prezzo della cessione della partecipazione è pattuito in rate da pagare in diversi periodi di imposta; in tal caso, quindi, le riserve di utili si devono ritenere monetizzate in misura proporzionale alle rate di prezzo pagate dalla newco.
Analogamente, anche l’imposta sostitutiva pagata per la rivalutazione e da sottrarre all’onere fiscale va considerata esclusivamente per la parte di essa proporzionale alle riserve di utili monetizzate.

L’ulteriore aspetto che va attentamente verificato – e che spesso risulta oggetto di contraddittorio con l’ufficio in sede di adesione – riguarda il “riconoscimento” della non tassazione degli utili e delle riserve di utili successivamente distribuiti; si tratta, infatti, di poste che sono state già tassate in capo ai soci in quanto considerate dall’ufficio dividendi “virtualmente” distribuiti per effetto della contestazione di abuso del diritto. Si tratta di utili non tassabili ulteriormente per effetto dell’applicazione del principio del divieto di doppia imposizione di cui all’art. 163 del TUIR di cui gli uffici finanziari devono, in qualche modo, tenere conto.

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