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LAVORO & PREVIDENZA

Il Governo dovrà individuare i contratti leader

Il Ddl. delega in materia di retribuzione detta i criteri richiamando il numero di imprese e lavoratori ai quali si applica il CCNL

/ Mario PAGANO

Giovedì, 2 ottobre 2025

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La recente approvazione in Parlamento del Ddl. recante delega al Governo in materia di retribuzione dei lavoratori e di contrattazione collettiva, nonché di procedure di controllo e informazione, ripropone un tema sempre più centrale, quello della cosiddetta contrattazione leader.

In particolare, tra i tanti aspetti oggetto di delega, uno dei più delicati è quello riferito alla definizione, per ciascuna categoria di lavoratori, dei contratti collettivi nazionali di lavoro maggiormente applicati in riferimento al numero delle imprese e dei dipendenti, al fine di prevedere che il trattamento economico complessivo minimo dei contratti collettivi nazionali di lavoro maggiormente applicati costituisca, ai sensi dell’art. 36 Cost., la condizione economica minima da riconoscere ai lavoratori appartenenti alla medesima categoria.

La volontà del legislatore sembra chiara e si pone in un quadro normativo e giurisprudenziale complesso, che negli ultimi anni è stato al centro di un continuo dibattito. Sono, infatti, numerose le norme che delegano la contrattazione collettiva alla disciplina del rapporto di lavoro. Naturalmente non qualunque contratto ha questa possibilità, ma se ci riportiamo, ad esempio, al DLgs. 81/2015, tale prerogativa è garantita, ai sensi dell’art. 51, solo ai contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e ai contratti collettivi aziendali stipulati dalle loro rappresentanze sindacali aziendali ovvero dalla rappresentanza sindacale unitaria.
A ben vedere, tuttavia, il legislatore non sembra aver indicato parametri o riferimenti per verificare l’effettiva rappresentatività delle organizzazioni sindacali (cfr. Cons. di Stato n. 6770/2024).

Il Ministero del Lavoro (cfr. lett. circ. 1° giugno 2012 n. 10310 e interpello 15 dicembre 2015 n. 27) si è sempre rifatto a una serie di indici quali, per parte datoriale: numero complessivo delle imprese associate; numero complessivo dei lavoratori occupati; diffusione territoriale (numero di sedi presenti sul territorio e ambiti settoriali); numero dei contratti collettivi nazionali stipulati e vigenti.
Per parte sindacale, invece, il riferimento è stato a: consistenza numerica degli associati delle singole OO.SS; ampiezza e diffusione delle strutture organizzative; partecipazione alla formazione e stipulazione dei contratti collettivi nazionali di lavoro; partecipazione alla trattazione delle controversie di lavoro, individuali plurime e collettive.
Ciononostante, negli ultimi anni, si è diffusa una corrente che ha individuato anche altri criteri come, ad esempio, il DM 15 luglio 2014 n. 14280. Da ultimo non possiamo dimenticare le pronunce della Cassazione del 2023, con le quali la Corte ha chiarito che anche un contratto collettivo leader può essere disapplicato se la retribuzione da esso individuata non rispetta i principi di proporzionalità e sufficienza costituzionali (tra cui Cass. 2 ottobre 2023 nn. 27711 e 27769).

L’intento del legislatore delegante è ora quello di provare ad agganciare normativamente il parametro costituzionale dell’art. 36 Cost. a una precisa contrattazione collettiva, che, nel necessario rispetto costituzionale, avrà il compito di individuare il trattamento economico complessivo minimo da riconoscere ai lavoratori appartenenti alla medesima categoria. Un’operazione che, a parere di chi scrive, è simile a quanto già oggi previsto in ambito cooperativistico, ai sensi dell’art. 7 comma 4 del DL 248/2007.
In tal senso, la scelta è ricaduta sui contratti maggiormente applicati ossia quelli che risulteranno tali in rapporto al numero delle imprese e dei dipendenti, privilegiando, quindi, il dato associativo.

Per effettuare questa delicata ma decisiva misurazione la delega comprende anche la necessità di prevedere strumenti di misurazione basati sull’indicazione obbligatoria del codice del contratto collettivo nazionale di lavoro applicato al singolo rapporto di lavoro nelle trasmissioni all’Istituto nazionale della previdenza sociale effettuate con il flusso telematico UniEmens, nelle comunicazioni obbligatorie e nelle buste paga, anche al fine del riconoscimento di agevolazioni economiche e contributive connesse ai rapporti di lavoro.

La strada sembra essere, almeno in parte, quella percorsa con l’accordo di collaborazione interistituzionale del 20 giugno 2018 tra INPS e CNEL per lo scambio di dati presenti nell’Archivio dei contratti collettivi di lavoro, istituito presso il CNEL, e le informazioni che l’INPS trae dal modello UniEmens trasmesso mensilmente dalle aziende. Infatti, sulla base di detto accordo l’INPS fornisce al CNEL le seguenti informazioni aggregate, afferenti ciascun contratto: numero delle matricole INPS dei datori di lavoro, che dichiarano di applicare il contratto; numero delle unità operative associate alle predette matricole; numero di lavoratori ai quali il contratto si applica; importo complessivo della retribuzione imponibile ai fini previdenziali.

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