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EDITORIALE

Un Paese di evasori di virtù prima che di evasori fiscali

/ Enrico ZANETTI

Martedì, 29 giugno 2010

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L’ipocrisia è la tassa che il vizio paga alla virtù.
Affrontare la vicenda Brancher partendo da questo noto adagio è probabilmente l’evidente conferma della veridicità di un altro luogo non meno comune, ossia che ciascuno di noi finisce con l’essere ciò che quotidianamente fa: nel nostro caso, il dottore commercialista.

D’altro canto, lo spunto di riflessione che può offrire una vicenda, quale quella di un politico già sotto processo che, nominato Ministro, procede, come primo atto del suo mandato, alla formalizzazione della richiesta di avvalersi del legittimo impedimento per sottrarsi ai processi già in corso, è proprio la presa d’atto dell’escalation che in questi ultimi anni sta travolgendo la percezione individuale e collettiva dei comportamenti.

Da sempre in questo Paese si tende a razzolare molto male; ma, una volta, vi era per lo meno la consapevolezza della negatività di quel razzolare e della sua inaccettabilità agli occhi della pubblica opinione.
Questo generava una sorta di rete che, seppur a maglie davvero larghissime, impediva quanto meno il passaggio di ciò che davvero era troppo, ma davvero troppo grosso.
Il collante che teneva insieme questa rete era proprio ciò che molti bollavano come ipocrisia: la tassa che il vizio pagava alla virtù, nella speranza, da parte di molti cittadini onesti non soltanto nelle apparenze, che si potesse arrivare un giorno a maglie della rete sempre più strette, piuttosto che al suo completo disfacimento.

Oggi possiamo dire di essere un Paese non più ipocrita, ma dobbiamo anche riconoscere che ciò rappresenta un passo indietro e non un passo avanti.
Infatti, la discrasia tra pensiero e comportamento, ossia appunto l’ipocrisia, non è venuta meno in ragione del lodevole allineamento dei comportamenti negativi alla retorica dei benpensanti, bensì in ragione della progressiva attenuazione delle differenze tra la percezione di ciò che è giusto (praticamente tutto ciò che è formalmente consentito dalla legge) e la percezione di ciò che è sbagliato (praticamente nulla, se la legge formalmente lo consente).

L’etica individuale non può essere appaltata alla magistratura, soprattutto in un Paese in cui la giustizia funziona male, con tempi biblici e con una percentuale di ribaltamenti di sentenze davvero imbarazzante e disorientante, nei passaggi dal primo al secondo grado e dal secondo grado alla Cassazione.

Il fine giustifica i mezzi, a loro volta sempre più sfacciati

Inoltre, di fronte a comportamenti sempre più disinvolti di chi fa politica e introduzioni di condoni, sanatorie e indulti di ogni tipo, dobbiamo smettere di sentirci degli sciocchi se non assecondiamo il navigato interlocutore di turno che ci ricorda come, soprattutto in politica, il fine giustifica i mezzi.

Sono tantissimi anni che mezzi sempre più sfacciati vengono usati per giustificare il fine, ma non mi sembra davvero che questo Paese abbia nel frattempo raggiunto obiettivi particolarmente pregevoli, ragione per cui è giunta l’ora di chiedersi in primo luogo qual è questo fine che giustifica i mezzi e, soprattutto, se non è meglio imporsi dei limiti e un implicito codice morale che consideri inaccettabili alcuni mezzi, a prescindere da quale che sia il fine sbandierato.

Vivremmo meglio e smetteremmo quanto meno di essere evasori di virtù, in un Paese la cui classe dirigente è arrivata a livelli di grettezza tale da ritenere socialmente vergognosa solo l’evasione fiscale, per il semplice fatto che ha bisogno dei soldi dei cittadini per mandare avanti questa indecorosa giostra.

Sono ragionamenti scomodi e probabilmente anche difficili da riuscire a far passare in un Paese dove il discredito accompagna non già soltanto la classe politica di governo, ma anche quella di opposizione, a causa di una mancanza di ricambio generazionale, ad ogni vittoria e sconfitta, che trasforma l’alternanza democratica in un balletto stantio.
Ciò non di meno, sono ragionamenti utili, anzitutto a quella stessa parte sana quanto trasversale dell’attuale classe politica, che hanno una minima speranza di attecchire solo se adeguatamente sostenuti e motivati da chi ha capacità intellettuale, conoscenza tecnica del diritto e delle dinamiche economiche, consapevolezza diretta delle dinamiche di corretto funzionamento dello Stato e di sana amministrazione del privato, nonché forte ancoraggio ai principi dell’etica e della deontologia professionale.

In una parola: tutti voi, tutti noi.

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