Riscossione concentrata nell’accertamento, ancora non ci siamo
Va senz’altro salutato positivamente il fatto che, in Commissione Bilancio del Senato, il relatore Antonio Azzollini abbia presentato, tra gli emendamenti alla legge di conversione del DL 78/2010, anche alcuni che riguardano lo scottante tema della concentrazione della riscossione nell’accertamento. Obiettivo: spostare la decorrenza dell’esecutività dell’avviso di accertamento dalla data di notifica a 60 giorni dall’atto, nonché raddoppiare da 150 giorni a 300 il termine ultimo decorso il quale l’eventuale sospensione della riscossione, accordata dal giudice al contribuente nelle more della sentenza di primo grado, cessa di avere efficacia, costringendo il contribuente che ha fatto ricorso a pagare il 50% delle imposte e degli interessi richiesti anche se la sentenza di primo grado non è ancora arrivata.
Abbiamo cercato di sottolineare in tutti i modi – non soltanto dalle pagine di questo quotidiano, ma ovunque ce n’è stata data la possibilità – come soprattutto la previsione di un termine ultimo per l’efficacia della sospensione risulti a dir poco irricevibile, perché denota con una chiarezza che sconfina nella sfacciataggine come il disegno sia quello di scaricare sul cittadino gli eventuali ritardi di una giustizia tributaria che funziona meglio di altri comparti della giustizia italiana, ma solo perché, come recita una nota pubblicità, fare simili paragoni vuole dire che “piace vincere facile”.
Trecento giorni sono senz’altro meglio di 150, ma ancora non ci siamo: la verità è che non deve esservi termine alcuno e tutte le persone intellettualmente oneste non possono che convenire su questo fatto, a prescindere dalla loro condizione di semplici contribuenti, commercialisti, funzionari dell’Agenzia delle Entrate, giudici tributari o parlamentari.
L’unica ratio dell’apposizione di un termine all’efficacia della sospensione eventualmente accordata è, come già abbiamo avuto modo di sottolineare, che si vuole preservare l’efficacia delle norme che garantiscono maggiore velocità ai tempi di riscossione rispetto alle eventuali inefficienze di commissioni tributarie, che non riescono a smaltire con buona celerità il numero dei contenziosi loro affidati.
La giustizia tributaria è troppo lenta? Fatti tuoi, caro cittadino: io Erario, decorso un certo tempo, voglio incassare in ogni caso, anche se il giudice ha ritenuto sussistere i non banali presupposti senza i quali nessuna sospensione della riscossione può essere accordata.
È comprensibile che un sistema fiscale palesemente basato sulle esigenze di gettito (oserei dire sull’ingordigia di gettito), anziché sul principio di capacità contributiva, finisca per imperniare il rapporto tra fisco e contribuente sulla riscossione, anziché sulla giustizia; a tutto però c’è un limite, e questa misura che restringe l’efficacia temporale dell’eventuale sospensione della riscossione è un altro dei tanti esempi di sfacciataggine no limits che sempre più vanno diffondendosi in ogni piega del nostro vivere quotidiano.
Consapevole della iniquità concettuale, oltre che pratica, di questa misura, l’Agenzia delle Entrate di fatto quasi non ne parla, limitandosi a difendere la bontà della norma che accorpa nell’avviso di accertamento le funzioni di cartella di pagamento, sostenendo che ciò va anche nell’interesse dei cittadini, perché determinerà una maggiore responsabilizzazione dei funzionari che emettono l’avviso di accertamento e, quindi, una loro maggiore attenzione rispetto alla formulazione di contestazioni discutibili.
Siamo i primi a ritenere che l’Agenzia delle Entrate sia una delle articolazioni dello Stato che, soprattutto ai suoi vertici, raggruppa livelli di professionalità e competenze di assoluto rilievo, ma, a parte che le nostre critiche si concentrano sull’altra metà della mela (ossia sul termine che “sospende la sospensione” e che assolutamente non ci deve essere), non si può tacere sul fatto che questa difesa d’ufficio della diretta esecutività degli avvisi di accertamento è quanto meno sbalorditiva.
In primo luogo, perché ammette implicitamente che sino ad oggi vi è un livello non marginale di contestazioni capziose, come del resto testimoniato dalle percentuali di soccombenza dell’amministrazione finanziaria in primo grado: in alcune province italiane si arriva a superare il 70% di vittorie dei contribuenti, a riprova del fatto che l’avviso di accertamento tutto può essere, tranne che un atto idoneo a costruire una presunzione di colpevolezza del contribuente.
In secondo luogo, perché inverte i canoni classici del rapporto tra responsabilità dimostrata e potenza di fuoco richiesta: dateci una maggiore potenza di fuoco così diventeremo ancora più responsabili di quanto già siamo, anziché dateci una maggiore potenza di fuoco perché abbiamo dimostrato una responsabilità ancora maggiore di quella che poteva esserci ragionevolmente richiesta.
Ma dai!