Tassa sui cortei: siamo alla frutta?
Il Sindaco di Roma ha proposto, in questi giorni, di introdurre una tassa sui cortei e sulle manifestazioni, al fine di assicurare una copertura almeno parziale degli oneri diretti che questo tipo di eventi determina sulle casse dei Comuni che li ospitano, per non parlare dei disagi che reca ai cittadini ivi residenti.
Per una città come Roma, naturale location delle manifestazioni più svariate e più di massa, la questione degli oneri e dei disagi è tutt’altro che irrilevante.
Tuttavia, i benefici che Roma e i suoi cittadini ritraggono dal fatto che essa sia, in quanto Capitale, luogo di ubicazione di tutti i Ministeri e della generalità delle sedi centrali dei vari organismi pubblici, dovrebbe costituire già di per se stessa l’evidente contropartita economica di questi oneri e di questi disagi.
Molte città sarebbero ben liete di ospitare la sede di qualche Ministero o qualche Ente che garantisce tutto l’anno alcune migliaia di posti di lavoro impiegatizio, anche a prezzo di dover magari farsi carico di tre o quattro giornate di manifestazioni sotto le finestre del palazzo ove è ubicato.
Astraendoci però dal caso specifico di Roma, quello che spaventa di questa boutade agostana è l’implicita conferma di un sentimento che sembra accomunare la generalità dei rappresentanti degli Enti locali: il desiderio di introdurre tasse.
I bilanci dei Comuni non si sono ancora ripresi del tutto dall’abolizione dell’ICI sulla prima casa (a causa di trasferimenti compensativi che, nella generalità dei casi, si sono rivelati ampiamente inferiori alle minori entrate fiscali proprie dell’Ente) e sono senza dubbio messi a dura prova dall’ulteriore sforzo che la manovra correttiva impone loro, così come impone a Province e Regioni.
Tuttavia, non si può fare a meno di notare come siano molti gli amministratori locali che, evidentemente, interpretano il federalismo fiscale come una sorta di via libera alla fantasia di ciascuno nel partorire nuove forme di prelievo, da ancorare a questo o quello scopo.
In Veneto, qualche settimana fa, alcuni amministratori locali hanno parlato di “ronde anti-evasione”, senza nemmeno rendersi conto che, a forza di andare tutti in giro per una ronda o per l’altra da mattina a notte fonda, non resterà più nessuno in ufficio o in azienda a lavorare sul serio e a produrre la ricchezza da tassare.
Nei Comuni di montagna, pochi giorni or sono, si è parlato di introdurre una tassa sui pic-nic, così da finanziare gli oneri correlati alla manutenzione delle aree utilizzate dai gitanti.
A Roma, ora, il Sindaco parla di tassa sui cortei e sulle manifestazioni, ponendo per altro le basi per risolvere l’annoso problema dei dati sui partecipanti diramati da organizzatori e questura: se si paga in base al numero dei manifestanti, si può star certi che, come per magia, i numeri degli organizzatori si abbasseranno e quelli della questura si alzeranno, arrivando finalmente a convergere.
A chi toccherà, domani, avanzare qualche ulteriore proposta?
Qualche amministrazione del Sud ipotizzerà l’introduzione di una tassa sulla raccolta di frutta e verdura, per finanziare gli oneri correlati alla rinuncia del Comune ad autorizzare informalmente l’edificazione abusiva dell’area?
Oppure alla frutta siamo già bell’e arrivati?
Cari Sindaci, Presidenti di Provincia, di Regione e parlamentari, quando gli italiani pensano al federalismo fiscale come allo strumento mediante il quale imprimere una svolta decisiva a questo sgarrupatissimo Paese, hanno in mente l’eliminazione di sprechi e inefficienze sul territorio ed a livello centrale; non la balcanizzazione fiscale del territorio nazionale, per altro con modalità e proposte talvolta ai limiti della farsa.
Ricordate la mitica scena del film di Benigni e Troisi, “Non ci resta che piangere”, in cui i due protagonisti si ritrovavano costretti a pagare un fiorino ogni santa volta che passavano per un ponte?
Con un po’ di buona volontà riusciremo anche stavolta a far sì che la realtà italica superi la fantasia cinematografica.